Loasi: un viaggio sensoriale in riva all’Adriatico
Scritto da Jenny Gomez | Pubblicato in a tavola con...
Fabrizio Sacco, dall’Ingegneria alla cucina mixando i sapori del mondo.
L’Abruzzo d’inverno riserva sorprese inusitate. In una località rivierasca dell’Adriatico nota per il fermento estivo, Silvi Marina (Te), la calca festante dei mesi torridi lascia spazio a chi desidera godersi un mare diverso, a volte un po’ burrascoso, talvolta placido, ma sempre enigmatico e affascinante. Un mare ancora più bello se lo si guarda seduti in uno chalet che non può essere definito semplicemente “stabilimento balneare”. Quando si entra a Loasi – scritto senz’apostrofo e con un’allusione grafica al simbolo dell’infinito (attaccando le vocali “o” ed “a”) – la scansione temporale si dilata e cede il passo alla graduale transizione tra mare e terraferma. Non solo perché siamo nell’area protetta del Parco marino del Cerrano, ma anche grazie alle soluzioni architettoniche e di arredo.
Ampie vetrate consentono di protrarre lo sguardo fino all’orizzonte, la sensazione di benessere viene amplificata. A ciò aggiungete il piacere di una cucina identitaria, creativa e fusion; unita ad una calda accoglienza. Fare in modo che i clienti si sentano ospiti è “la fissa” del titolare: Fabrizio Sacco, classe 1975. Un ingegnere innamorato dell’arte culinaria e avveduto imprenditore. Nel 2007, insieme a un socio, dà vita a un luogo che fu iconico per la movida pescarese, Il Caffè delle Merci; nel 2012 segue uno stage presso il ristorante di Filippo La Mantia di Roma; dopo aver aperto la società di catering Kifood, nel 2014, frequenta la Niko Romito Formazione, Scuola di Alta formazione e specializzazione; nel 2017 lavora nella brigata del Relæ di Christian Puglisi a Copenaghen; poi è la volta di Loasi.
La storia di Loasi parla anche di destagionalizzazione e valorizzazione territoriale attraverso l’enogastronomia adottando accorgimenti semplici, come l’uso di materie prime tracciabili e di prossimità, la diversificazione delle proposte, la cura del menù e l’attenzione alla selezione dei vini. Infatti, le etichette sono ottime e la mescita è “moderna”, cioè, senza il vincolo di servizio canonico secondo cui durante il pasto un rosato fermo non dovrebbe precedere un bianco. Infrangere le regole con cognizione di causa è un piacere, lo è doppiamente in riva al mare.
Le belle sorprese non si fanno attendere, partendo già dal piatto inteso come recipiente su cui servire il cibo. Bei servizi (ceramiche di buon gusto, ciotole di ispirazione orientale, tazzine incantevoli), essenziali e gradevoli la mise en place e la posateria, con incursioni di bacchette inox. Servizio al tavolo attento e cordiale.
A Loasi tutte le pietanze appagano prima l’aspetto sensoriale visivo, altrimenti sarebbero in dissonanza con il contesto. La bellezza della natura circostante fa pendant con l’estetica dei piatti e con la piacevolezza del locale (progettato dallo Studio Summit Vai).
Nel menù spiccano proposte come “Non chiamatelo Ramen”, una variazione del famoso piatto giapponese; “Spaghettoni, panocchie, cime di rapa (in due consistenze) e peperoncino”; e il superscenografico “Arrosto misto”. Pura sinfonia di profumi e colori: funghi, topinambur e verdure fermentate, alcuni degli ingredienti. Un riuscito esercizio culinario che racchiude abili e lunghe tecniche di cottura. Dulcis in fundo “Crema d’Abruzzo”, dessert a base di liquirizia, genziana e zafferano accompagnato da un piacevole cocktail; perché Loasi è anche Mixology.
Gradevolezza, piatti con un anima frutto della ricerca, voglia di novità senza forzature, crossing culturale e attenzione ai dettagli sono i fattori che contraddistinguono questa bella realtà, che di inverno mostra il lato più introspettivo e forse più bello.