Pino Cuttaia “La mia cucina spesso parte dall’imperfezione, al pari di quella materna”

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Pino Cuttaia alla Reserve di Caramanico, “La cucina è ricordo indelebile, gesto materno”
 “Vivo di stagionalità e cresco con l’ingrediente, che aspetto di anno in anno. Col tempo vedi il prodotto con occhi diversi. La cucina è legata all’età del cuoco e non alla moda”. Pensiero, memoria visiva del gusto, tempo. E ancora pensiero.
 Il mediterraneo è culla del pensiero speculativo e Pino Cuttaia ne riporta l’impronta nei suoi piatti. Che profumano del mare di  casa, Licata, costa meridionale della Sicilia, provincia di Agrigento.
 
Il bistellato del “Madia” (Licata) ha risalito la dorsale planando per poche ore sull’Abruzzo, parco nazionale della Maiella, il tempo necessario per  imprimere nella mente degli ospiti della terza edizione del Sentiero del Gusto all’hotel Terme La Reserve (5 stelle con spa a Caramanico) il ricordo di una serata  di rara classe.

 “Materna e generosa”, come la sua cucina.  E’ quanto lo chef agrigentino ha voluto spiegare a voce trattenendoci volentieri nel dopocena nonostante l’ora tarda e le poche ore dal volo di ritorno. Un viaggio nei ricordi intimi e ben piantati nel territorio.

Che i privilegiati commensali (posti esauriti già da settimane) hanno potuto condividere nelle forme generose e sincere della Pizzaiola, merluzzo all’affumicatura di pigna.  Polpo sulla sabbia (“sapore di brace d’estate” ha siglato l’esperto di vino e di cibo Alessandro Bocchetti, conduttore della serata). L’arancino di riso con ragù di triglia e finocchietto selvatico, il superbo raviolo di calamaro ripieno di tinniruma di cucuzza…

Classici  collaudati “per non rischiare”, abbinati ai vini  Cataldi Madonna (Ofena).  Vini del “nuovo corso” intrapreso da Luigi Cataldi Madonna  con l’attento recupero  delle vecchie  cisterne aziendali in cemento.

Nell’ordine di apparizione, il profumato Pecorino  Giulia e due letture originali di Montepulciano  d’Abruzzo  a fermentazione spontanea con lieviti indigeni.

L’allegro Cataldino  Rosato Igt Terre Aquilane, vino  beverino e gastronomico, da uve Montepulciano vinificate interamente in bianco.  E il rosso Malandrino,  fresco, sapido e grintoso Montepulciano d’Abruzzo,  vino nuovo e complesso nella sua impostazione incontaminata dal legno.

Espressioni spigliate di un territorio unico, il comprensorio viticolo di Ofena, piccolo altopiano sui 400 metri di altitudine sovrastato dal ghiacciaio del Calderone (parco del Gran Sasso). Forno d’Abruzzo e insieme frigo per i picchi estremi di temperatura raggiunti, garanzia di freschezza per i vini prodotti.

Ma ecco il nostro rendez-vous con lo chef del Madia con l’invito alla lettura  del suo nuovo libro “Per le scale di Sicilia. Profumi, sapori, racconti, memoria” (Giunti Editore)

Cuttaia, la sua cucina  vuole esprimere nella sostanza e nell’estetica l’imprinting primordiale, la maternità del nutrimento, che appartiene ad ognuno.

La mia cucina spesso parte dall’imperfezione, al pari di quella materna. Da quella essenza di vita io parto. La cucina ha bisogno di quel gesto arcaico, di quella generosità. Che non dimenticheremo mai

Anche l’estetica del piatto ha la sua importanza?

Ogni mio piatto nasce da una memoria visiva. Penso alla fettina cucinata  in casa a bagnomaria, nel piatto messo sulla pentola ancora calda dove si è lessata la pasta, coperto da un altro piatto. Ricordo dell’infanzia, cibo materno.

Un piatto del genere puoi farlo quando hai raggiunto maturità,  maestranza, quando la materia ti appartiene. Non puoi farlo a 20,30 anni.

Io cresco con l’ingrediente, lo aspetto di anno in anno. La cucina è legata all’età del cuoco e non alla moda.

Profumi indelebili, gusto, gesto. Il suo pensiero gastronomico procede in antitesi alla cucina contemporanea di maniera…
 
La cucina deve essere generosa, ma non esagerata, per non perdere di bellezza. La tavola è un sentimento, non ha bisogno di altre associazioni. Dobbiamo essere meno critici quando ci sediamo a tavola. Non mi piace la cucina fighetta solo di maniera, quella che con un morso hai finito il piatto, lontana dalla vita della gente.  

Il futuro?

Il futuro è l’ingrediente, la salvaguardia del prodotto. Dobbiamo difenderlo  sensibilizzando il nostro vicino di casa, il panettiere, il fruttivendolo, il macellaio… Il buono cresce con noi, bisogna solo coltivarlo e sofisticarlo, lavorarlo con gli strumenti dell’innovazione.

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