Barbera
Scritto da Ampelografia Universale | Pubblicato in vitigni
Vitis vinifera Montisferratensis, racemis oblongis congestis, acinis ovoidalibus nigris, succo denso purpureo, vino generoso duraturo. Vulgo, Uva Barbera.
Scheda tratta da Giorgio Gallesio, Pomona Italiana (1817-1839).
La Barbera tiene uno dei primi posti fra le uve del basso Monferrato e gareggia col Nebbiolo e col Tedone. Ha i tralci grossi e striati, le foglie glabre al di sopra e tormentose al di sotto, i grappoli allungati e col peduncolo bruno, e gli acini ovali, neri e pruinosi.
Il vino di questo vitigno è vermiglio, generoso, e pieno di spirito, ma denso e di difficile schiarimento: è di molta durata; e se è fatto con cura si perfeziona nell’invecchiare e prende il secco dei vini da arrosto. I distillatori ne cavano un alcool abbondante che è preferito a quello delle altre uve del Piemonte; e i negozianti di vino se ne servono con vantaggio per migliorare i vini deboli e darvi del colore. A malgrado di tanti vantaggi la sua coltivazione non è estesa come lo meriterebbe. La Barbera a dir vero si trova in quasi tutti i vigneti del Monferrato e in molti ancora del Piemonte, ma non è coltivata in grande che nei mandamenti di Porta-Comaro di Moncalvo e in tutte le belle colline che uniscono l’Astigiana al Casalasco.
È là che i negozianti di vino di Asti e di Torino vanno a comprare le loro uve per manifatturarle, o i vini già fatti per perfezionarli e porli in commercio, ed è da quei paesi che si spargono in tutto il Piemonte. È probabile che quei territori siano più adatti all’indole di questo vitigno che qualsiasi altro del Monferrato; ma è più probabile ancora che, trovandosi essi da secoli in possesso della sua coltura, e colla riputazione di avere un terreno ed un clima che ne favorisce la perfezione, i loro abitanti lo coltivino di preferenza e con più cura, e giustifichino così il pregiudizio stabilito in loro favore. Io non entrerò nel dettaglio dei diversi metodi di vinificazione che si seguono in quei paesi per la Barbera: essi sono tanti quanti sono i proprietari agiati che la manifatturano per loro conto, e i negozianti che ne fanno il commercio.
Così, molti e diversi sono i caratteri che distinguono i vini che sono conosciuti sotto il nome di Barbera, ed io ne ho gustati dei dolci e dei secchi, dei densi e dei gentili.
Tutti però annunziano un’uva piena di spirito e fatta per comporre dei vini eccellenti. Si pretende che la maggior parte dei vini che il commercio vende per Barbera provengano da un misto di queste uve col Grignolino. Io non esito a crederlo; e penso, che coloro che hanno adottata questa composizione, abbiano scelto il partito il più savio.
La Barbera dà un vino colorito e generoso, ma dolce e denso: il Grignolino invece fa un vino secco e gentile, ma chiaro e leggiero. Combinate insieme in una proporzione conveniente, queste due uve devono comporre un vino sciolto ed asciutto da potersi pasteggiare, o un vino generoso da servirsi ai rosti: esse contengono gli elementi di queste due sorta di vini che sono i più difficili ad ottenersi perfetti perchè sono quelli che dipendono più specialmente dalla qualità delle uve.
Gli Astigiani, mediante la concentrazione, formano coll’uva Barbera dei vini liquori, che sono stimati da molti, ma che in generale sono troppo dolci, e si possono chiamare piuttosto mosti che vini. Questo difetto, che non è corretto neppure dal tempo, è dovuto ai metodi di vinificazione che sono in uso, piuttosto che alla natura delle uve, e vi sono già dei negozianti in quest’articolo, e dei proprietari istruiti, che, con dei migliori processi, ne ottengono degli eccellenti. Io non dubito che il loro esempio sarà seguito dalla generalità dei coltivatori, e che l’industria dei possessori di Barbere arricchirà lo stato di un articolo che l’estero ci fa pagare ben caro.
Frattanto che si stanno preparando questi miglioramenti, io mi compiaccio di potere offrire al Pubblico un disegno della Barbera che non invidia quelli dei migliori pennelli che figurano nella Pomona. È uno di un caro e rispettabile amico, il quale, per obbligarmi, ha voluto consacrare le poche ore di riposo, che gli hanno lasciato nell’Autunno del 1831 i lavori importanti del suo impiego, a dipingere un grappoletto di quest’uva raccolto nelle sue vigne di Saluzzo. Egli ha associato a questo tratto di gentile amicizia un ufficiale suo collega, il quale ha disegnata la foglia. Io non posso che testimoniare all’uno e all’altro la mia gratitudine, e il desiderio che nutro di poter ornare i disegni delle poche uve piemontesi che ancora mi mancano coi nomi di Muletti e di Gardel.
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