Bonarda piemontese

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Questo vitigno, se dovesse chiamarsi Bonarda, potrebbe distinguersi col nome di Bonarda Novarese, ma pare gli sia più appropriato il nome di uva rara che gli vien dato nelle colline del Vogherese e di Stradella ove è eziandio molto coltivato.

Scheda tratta da Ministero d’Agricoltura – Comitato Centrale di Ampelografia, Ampelografia Italiana (1879-1890).

Località ove si coltiva. è necessario premettere che nella regione compresa tra il Lago Maggiore, il Ticino, gli Apennini e la corona delle Alpi, sotto il nome di Bonarda, si coltivano tre vitigni affatto differenti tra loro: l’uno, cominciando dalla Dora Baltea, nel circondario d’Ivrea, e seguendo a nord-est nel Biellese ed alto Novarese fin lungo le sponde del lago Maggiore e fin nelle colline di S. Colombano sul Milanese, produce uva a grappolo diradato, acini rotondi, neri, di grossezza più che media, ed è abbastanza diffuso come uva da mensa e come uva da vino ed anche per vini santi; è quasi sempre conosciuto col nome di Bonarda: in alcuni luoghi è predominante sulle altre uve.

Altro vitigno col nome di Bonarda è coltivato nella provincia di Alessandria, specialmente sui colli di Vignale e dintorni: esso si estende fin nell’alto Novarese ove prende il nome di Nebbiolo di Gattinara, nel basso Pavese ed oltre Stradella ove è denominato Croattina. è abbastanza pregiato pel torchio pel suo mosto di corpo e colorato. Invece del suo nome di Bonarda che gli è dato nell’Alessandrino, sarebbe da ritenersi molto più adatto quello di Croattina che gli è speciale e lo differenzia da qualsiasi altra varietà.

Il terzo vitigno, coltivato con identica denominazione di Bonarda, ha la sua sede principale sulle colline che sovrastano a Torino, da Chivasso a Gassino e Chieri e si estende abbastanza diffuso verso l’astigiano ed un po’ anche lungo le Prealpi. Questa sarebbe la Bonarda Piemontese per eccellenza, perchè primeggia per bontà di prodotto e forse anche per quantità di fruttificazione sulle due anzimenzionate ed é quella che vien qui descritta.

Allo scopo di prevenire l’obbiezione di chi credesse, che in origine un solo vitigno, col nome Bonarda, trasportato in paesi diversi avesse modificato le forme a seconda del terreno, del clima e delle esposizioni in cui trovossi collocato, è utile che sia notato che questi tre vitigni, in seguito ad esperimenti fatti con precisione e cura particolare, trasportati in confronto fra loro sia nel Novarese, sia nell’Astigiano, sia nella provincia di Cuneo e collocati in vigneto identico, conservarono tuttavia la loro fisonomia propria ed i loro tratti caratteristici, cosa questa che è nota a chi si occupa di studi ampelografici, i quali senza la stabilità dei caratteri dei vitigni diventerebbero opera frustranea, ma che è sovente ignorata da chi è profano a queste osservazioni. è indubitato che questi vitigni diversi, per quante trasposizioni di luoghi dovessero subire, conserverebbero sempre i loro caratteri particolari e differenziali fra di loro.

Nozioni generali sul vitigno e sua indole. Il vitigno Bonarda, che per distinguerla dagli altri omonimi è chiamata Piemontese, è specialmente coltivato nelle colline che si stendono tra Chivasso, Gassino, Torino, Trofarello, Chieri fino ad una parte dell’Astigiano. In esse oltre ad essere coltivato come uva da mensa è per lo più mescolato nella vendemmia colla Fresa per ammorbidirvi i vini soventi volte troppo aspri.

In quelle località calde e soggette in estate a forti siccità, anche pei suoi grappoli alquanto voluminosi, esso è meno adatto che la Fresa alla maniera di coltivazione che vi è in uso, colla quale si lasciano ad una sola ceppaja da quattro a sei lunghi tralci fruttiferi, con qualche sperone al basso, e così non meno di 40 a 60 gemme fruttifere od anche più quando il vigneto è in buono stato.

Coltivato invece nelle colline delle prealpi, in terreni più freschi, sui quali più frequenti cadono le pioggie nella stagione estiva, e non succede un arresto nel progresso vegetativo della pianta, disposto ad un solo od al più due tralci fruttiferi, in terreni non sterili nè aridi, ha dato buone prove di ragguardevole fruttificazione, con eccellenti risultati per la vinificazione, anche perchè l’epoca della sua maturazione è di parecchi giorni anteriore a quella della generalità delle uve che si coltivano in quelle plaghe.

Nell’anno 1883 la Commissione Ampelografica della provincia di Torino ebbe ad assaggiare in una delle sue adunanze cinque qualità di vini tutti fatti con una sola qualità di uva, differente l’una dall’altra, ma tutte per apposito esperimento coltivate in identica posizione, su identico terreno e con eguale sistema di coltura.

Le qualità di uve componenti i vini assaggiati erano la Fresa, la Bonarda delle colline di Torino, il Sirah dell’Hermitage, il Petit Baclan del Jura, ed il Corbeau o Douce-noire di Savoia.

Per unanime consenso fu trovato superiore a tutti quello ottenuto colla Bonarda.
Si può aggiungere che fra i vitigni che dànno prodotto scelto, la Bonarda può essere indicata come una dei meno delicati nella vegetazione. Posta in condizioni normali in terreno abbastanza aprico ma non arido, di media fertilità e consistenza, in esposizione non eccezionalmente soggetta ai freddi primaverili, essa darà un prodotto regolare e sempre di buona qualità.

Questo vitigno fu trasportato nella collezione del conte Odart forse più di 65 anni fa. Non sarà fuori luogo il citare il giudizio del celebre ampelografo, il quale a pag. 56 della sua Ampelografia così ne scrive: «I suoi bei grappoli allungati ed appesi ad un gambo forte sono ben guerniti di acini rotondi, nero turchini non compatti, che facilmente maturano nel nostro clima (la Touraine tra il 47° ed il 48° grado di latitudine), contemporaneamente alla Barbera e quasi assieme al nostro Côt. (il Malbec). Le sue foglie sono intiere, alquanto cotonose sotto, ed il peziolo è rosso».
In generale però la maturazione della Bonarda si fa alquanto prima di quella della Barbera e della Fresa e questa circostanza coadiuva non poco alla bontà del vino.

Il marchese Leopoldo Incisa della Rocchetta in alcuni suoi appunti enologici la dice utilissima nella vinificazione e prosegue: «Da sola somministra vino generoso da bottiglia, adoprasi utilmente a condire mosti di qualità scadenti per ottenere buoni vini da pasto e da commercio. La vite ama terreno forte, esposizione soleggiata, è sufficientemente produttiva, teme la prolungata rigidezza della stagione. Vuole situazione elevata; merita, attese le buone qualità del suo frutto, di essere caldamente raccomandata per la propagazione».

Importata verso il 1840 nel podere di una corporazione religiosa in Montebello (Vogherese) non tardò a diffondersi nei vigneti dei dintorni come uva fina e di raccolto abbondante. Soffre facilmente per l’oidio come la maggior parte delle uve fine.

Molto opportunamente perciò il signor Ministro di Agricoltura, Bernardino Grimaldi, bandiva il 1° agosto 1885 un concorso a premi per vigneti i quali venissero impiantati lungo i circondari delle prealpi, con una sola qualità di vitigno, e preferibilmente con Bonarda Piemontese indicata specialmente col nome di Bonarda di Chieri, onde evitare qualsiasi equivoco di nomenclatura.

Testo e immagine tratti da Ampelografia Universale Storica Illustrata: è vietata la copia anche parziale senza esplicita autorizzazione.

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