Storia della viticoltura
Scritto da vinoway | Pubblicato in Evoluzione-Cenni Storici
La storia della viticoltura è molto affascinante e ripercorre le diverse epoche storiche. Il vino e le sue interpretazioni sono un patrimonio storico da non tralasciare e gettano le basi della viticoltura moderna.
{slide=Civiltà preromane}
La vite insieme al grano, orzo, miglio, lino e al cotone è stata una delle prime piante delle civiltà sumere,assire,babilonesi,egizie e cartaginesi.
Precisi riferimenti storici al vino risalgono alla civiltà dei Sumeri: nell’epopea di Gilgameš (3° millennio a.C.) si legge, fra l’altro, che “vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d’oro e i tini d’oro che gli Dei le diedero“. Si può supporre che l’incontro di Gilgameš con la “donna della vigna” avesse un valore simbolico: Gilgameš andava alla ricerca dell’immortalità, che potrebbe essere, appunto, espressa dalla vite e dal vino, che, presso i Sumeri erano simboli anche di immortalità.
In Egitto la vite era coltivata all’inizio del 3° millennio. Esistevano differenti “razze” di viti e diversi “tipi di vino”, che era consumato dai sacerdoti, dagli alti funzionari e dai re. Numerose sono le pitture murarie egizie rappresentanti pratiche di viticoltura e di vinificazione, banchetti e anche persone in stato di ubriachezza.
Presso i Greci la vitivinicoltura, già nota nel minoico medio, aveva raggiunto in epoca omerica una notevole importanza, come può dedursi anche dall’esistenza di numerose varietà di vite e di precise pratiche di vendemmia e di vinificazione, che Esiodo descriveva in “Le opere e i giorni”.
Presso gli Etruschi la coltivazione della vite raggiunse un notevole progresso, favorito anche da evolute conoscenze tecniche e da materiale ampelografico di varia origine, raccolto attraverso gli ampi rapporti commerciali di questo popolo. Sembra che il toponimo Chianti, sia derivato dall’etrusco “Clante” e che lo stesso vocabolo vinum non sia di origine greca, ma derivi da oinos, che compare in vari reperti archeologici etruschi ed anche sulle bende della mummia conservata nel museo di Zagabria. Il vino fu oggetto da parte degli Etruschi, come dei Greci, di un’attiva esportazione, non solo nei Paesi del Bacino Mediterraneo, ma anche oltralpe, stimolando il perfezionamento dei mezzi di trasporto, il miglioramento della viabilità terrestre e la produzione su vasta scala di contenitori di dimensioni idonee alla spedizione del vino. Sembra infine, secondo Livio, che l’attrazione per questa bevanda abbia contribuito ad indurre i Celti ad invadere l’Etruria nel IV sec. a.C.
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I Romani, nei loro rapporti di incontro e scontro politico, economico e culturale con gli Etruschi, appresero le tecniche vitivinicole fino dall’epoca dei primi re. Dopo la conquista del Lazio e la fine delle guerre puniche, la viticoltura si sviluppò al punto da indurre Catone il Censore (234 – 149 a.C.) a suggerire, nell’acquisto di un buon podere, di dare importanza prioritaria alla vite e quindi, prima dell’olivo, alla coltivazione dei salici per produrre i vimini necessari per le legature dei tralci.
Nel periodo compreso tra Catone e Plinio il Giovane (61-113 d.C.) la vitivinicoltura raggiunse livelli molto elevati ed il vino era consumato anche in locali pubblici di vendita (thermopolia). Molto rilevante era l’esportazione, tanto che il porto di Ostia divenne un vero emporio vinario.
Agli inizi dell’età imperiale la viticoltura era molto estesa ed era praticata anche in terreni fertili per ottenere più elevate produzioni, necessarie per soddisfare l’esportazione e l’aumento del consumo interno. La conseguente riduzione di altre coltivazioni, quali quella dei cereali, secondo quanto riferisce Svetonio nel De vita Caesarum, indusse Domiziano a vietare nel 92 la costituzione di nuovi vigneti e ad imporre lo spiantamento della metà delle vigne esistenti nelle “provinciae” romane (le attuali normative sul blocco degli impianti dimostrano che “nulla è nuovo sotto il sole”!).
La coltivazione della vite forniva redditi in genere maggiori di altre colture, come risulta fra l’altro dal fatto che all’epoca di Diocleziano, ai fini della tassazione, la superficie di vigneto per comporre un jugum o caput millena era la più bassa di tutte le colture (tab. 1).
Il progresso tecnico vitivinicolo venne illustrato e favorito anche da un’ampia letteratura, la quale, arricchita dalle conoscenze ed esperienze di altri popoli del Bacino Mediterraneo, raggiunse livelli significativi con importanti opere, quali quelle di Marco Porcio Catone – De agricultura , di Marco Terenzio Varrone – Res rusticae – di Publio Virgilio Marone – Georgica – e, soprattutto, di Lucio Moderato Columella – De re rustica -, in cui sono esposti anche concetti biologici e direttive tecniche tuttora validi ed interessanti.
Notevole era anche il patrimonio varietale, suddiviso in vitigni da tavola e da vino, quest’ultimi distinti in tre classi a seconda della qualità del vino ottenibile. Columella indicava 58 vitigni, di cui 12 da tavola; Plinio il Vecchio ne elencava 80 e riferiva che nel mondo ne esistevano 190.
L’industria enologica era praticata anche separatamente dall’azienda agraria, come dimostrato da varie notizie di vendita all’asta di uve pendenti. Nel territorio dei municipia di Arretium e di Cortona sono state trovate vasche per la pigiatura dell’uva, in muratura e monòliti, di notevole capacità e, quindi, destinate ad un impiego industriale.
Nei Paesi del Mediterraneo, tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero erano prodotti numerosi vini come risulta dalla Geographica di Strabone e dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, il quale ricorda 50 diversi tipi di vini pregiati.
Il vino era utilizzato anche in molteplici ricette della cucina romana. Esistevano, inoltre, vini particolari, variamente profumati ed aromatizzati, ottenuti con l’infusione di varie specie di piante e con l’aggiunta di particolari sostanze, a taluni dei quali erano attribuiti specifici effetti, quali indurre l’aborto, rendere feconde le donne, determinare impotenza negli uomini. Esisteva anche un vinum murratum, che veniva dato ai condannati a morte per annebbiare la loro coscienza prima dell’esecuzione. Si potrebbe pensare che fosse questo la “mistura di vino e fiele” (Mt 27, 34) o il “vino con mirra” (Mr 15, 23), o il “vino aspro” (Lc 23, 36) che venne offerto a Gesù nel suo supplizio?
Nel III-IV secolo d.C., con la crisi dell’Impero iniziò anche il declino della viticoltura. Il latifondo, l’affidamento del lavoro agli schiavi, la crisi monetaria, le lotte interne, le invasioni dei barbari, il disordine politico e amministrativo, l’insicurezza pubblica, soprattutto nelle campagne, crearono condizioni sfavorevoli all’agricoltura e in particolare alla viticoltura. Molti agricoltori, inoltre, estirpavano i vigneti per non subire le forti tasse cui erano assoggettati, tanto che nel IV secolo l’imperatore Teodosio, per frenare questo fenomeno, decise la pena di morte per chi – sacrilega falce – tagliava le viti.{/slide}{slide=Dopo l’impero Romano}
Tra il V e il X secolo un importante contributo alla conservazione ed al miglioramento del patrimonio vitivinicolo venne dato in Europa dai vescovi, dai monaci, dagli ordini religiosi cristiani e dalla nobiltà laica. Il vino, oltre ad essere consentito nell’alimentazione delle comunità religiose, presso le quali veniva anche offerto ai pellegrini, era indispensabile per la Messa e per la comunione dei fedeli che, fino al XII secolo, consumavano sia il pane, che il vino consacrati. Le proprietà agricole dei monasteri e dei vescovi, spesso notevolmente accresciute dai lasciti, divennero centri di coltivazione della vite, mentre gli ordini monastici, fino da quelli più antichi, quali i Basiliani e i Benedettini, portarono la coltura della vite in Europa ai limiti estremi di latitudine ed altitudine. In questo è stato visto il ripetersi del ruolo fondamentale della religione nella storia della vite: l’uso del vino nei rituali delle antiche religioni avrebbe, infatti, determinato la diffusione della viticoltura; nell’Alto Medioevo sarebbe stata ancora la religione il fattore determinante della sua sopravvivenza. Si sviluppò una viticoltura “ecclesiastica”, alla quale, peraltro, soprattutto in Francia, si affiancò una viticoltura “signorile”, praticata da principi e feudatari, che sentivano il fascino della vite e del vino, anche come simboli di prestigio e di livello culturale. Rotari, re dei Longobardi, nel suo famoso Editto del 643, comminò pene severe a chi rubava più di tre grappoli d’uva o danneggiava le viti. Il Capitulare de villis, fatto redigere da Carlo Magno tra il 770 e l’800, dettava disposizioni per la cura delle viti e del vino. Anche lo statuto del 1327 di Arezzo conteneva norme che stabilivano l’inizio della vendemmia, proibivano la caccia nei vigneti, prevedevano punizioni per chi danneggiava le siepi e obbligavano a tenere i cani legati nel periodo della maturazione dell’uva.
Poiché le campagne erano insicure, spesso i vigneti venivano fatti in vicinanza o dentro le mura delle città, dei monasteri e dei castelli, come emerge anche un’ampia toponomastica giunta in parte fino ad oggi. A Firenze esistono ad esempio “Via della vigna vecchia” e “Via della vigna nuova”.
La viticoltura, inoltre, si estese in Europa in territori attraversati da grandi fiumi navigabili, quali il Reno e la Mosella, la Senna ed i suoi affluenti, che consentivano il trasporto del vino a lunghe distanze ed a bassi costi.
Fino al VII secolo la viticoltura ebbe una certa importanza anche nei Paesi del Mediterraneo orientale. Verso la fine del mille, però, essa era diminuita a causa dell’espansione dell’Islam, mentre si estendeva verso il nord, giungendo fino alla parte meridionale dell’Inghilterra.{/slide}{slide=Prima del rinascimento}
Tra la fine del Basso Medioevo ed il Rinascimento iniziò lo sviluppo della viticoltura “borghese”. I ceti arricchiti con l’artigianato ed il commercio investirono le loro risorse finanziarie nella viticoltura, che risultava economicamente conveniente, anche perché il consumo del vino era in aumento per l’incremento demografico, l’accentramento della popolazione nelle città e le aumentate disponibilità economiche di più ampie classi sociali. Inoltre la maggiore sicurezza nelle campagne e la diffusione della mezzadria e di altre forme di compartecipazione, stabilizzando i contadini sulla terra, consentivano la coltivazione di specie arboree a lungo ciclo biologico, quali la vite, che richiedono notevoli investimenti finanziari e frequenti, diligenti cure colturali.{/slide} {slide=Rinascimento}
Durante il Rinascimento la viticoltura fu favorita anche dallo sviluppo di un’ampia letteratura dedicata alla vite, caratterizzata da uno spirito nuovo che, esistente allo stato embrionale già nel “Liber Commodorum Ruralium”, scritto da Pietro de Crescenzi nel 1308-1309, si manifestò pienamente nelle opere di Bacci, Porta, Alamanni, Soderini, Del Riccio, Micheli. In esse si rileva, infatti, l’intento di osservare e descrivere i fenomeni con l’esperienza valorizzata dalla ragione, secondo una nuova concezione filosofica, che recuperava la dimensione terrestre dell’uomo, il quale aspirava a realizzare se stesso, senza trascurare il valore del corpo e dei beni di consumo. Contemporaneamente si sviluppavano i germi della ricerca sperimentale e nasceva l’ampelografia, destinata a divenire una delle basi fondamentali per il futuro progresso della viticoltura. {/slide} {slide=Dopo la scoperta dell’America}
Nel XVI secolo la coltura della vite venne introdotta anche nel Nuovo Mondo, all’inizio con finalità soltanto religiose e, cioè, per produrre vino per la Messa. La vite divenne però ben presto importante, tanto che, nel 1524, pochi anni dopo lo sbarco sulle coste dello Yucatan, Cortes, con una delle Ordinanzas Municipales per Città del Messico, decretò che in ogni concessione di terreno dovevano essere piantate mille viti e Carlo V stabilì appositi premi per favorire la diffusione della vite nelle colonie della Corona.
Dal Messico la viticoltura si diffuse rapidamente verso il sud dell’America ed il vino divenne in breve tempo bevanda comune, richiesta soprattutto dai conquistatori spagnoli. Alla fine del XVI secolo, la viticoltura risultava talmente estesa che Filippo II ritenne necessario proibire l’impianto di nuovi vigneti. {/slide} {slide=Fino ai giorni nostri}
Durante il secolo scorso e l’attuale la viticoltura ha vissuto vicende molto importanti e subito profonde modificazioni.
Nella seconda metà dell’Ottocento due gravissime malattie hanno minacciato l’estinzione della Vitis vinifera. La prima fu il “mal bianco” causato dall’oidio, il quale, osservato nel 1845 in Inghilterra, dopo pochi anni andava distruggendo tutti i vigneti europei.
La viticoltura stava risollevandosi dalla gravissima crisi causata dal “mal bianco”, risolta dopo affannosi studi con l’impiego dello zolfo, quando venne colpita da un nuovo e forse ancor più pesante flagello, la fillossera che, comparsa in Europa nel 1869, si diffuse rapidamente in molti Paesi viticoli. Anche il problema della fillossera venne risolto dopo un intenso periodo di ricerca, rinnovando la viticoltura su portinnesti resistenti, derivati da alcune specie di viti americane: dall’America venne il malanno e successivamente anche il suo rimedio! La fillossera, tuttavia, non è stata ancora del tutto debellata: in alcuni territori, infatti, costituisce tuttora un non trascurabile problema.
Alla seconda metà del secolo scorso risalgono, inoltre, le prime acquisizioni nei settori della microbiologia, della chimica enologica, della nutrizione e della concimazione della vite, della biologia e dell’ampelografia, dell’entomologia e della patologia viticola, con le quali iniziò il graduale passaggio della tecnica vitivinicola dal tradizionale empirismo alla moderna impostazione su precise conoscenze scientifiche.
Fu ancora nel secolo scorso che si accentuò il processo iniziato nel XVI-XVII secolo dell’investimento di capitale nel commercio del vino e quindi, in misura crescente, nell’azienda viticola e negli impianti enologici. Questo processo si è intensificato nel secolo attuale, fino ad assumere, durante gli ultimi decenni, dimensioni notevoli a livello sia territoriale, anche con varie forme associative, sia mondiale, con le società multinazionali ad integrazione verticale.
Nel corso degli ultimi decenni è avvenuta, in Europa e soprattutto in Italia, una profonda modificazione della viticoltura, determinata dalla necessità di adeguare le strutture produttive e la tipologia dei vini ai cambiamenti avvenuti negli assetti sociali, economici, culturali e nei modelli di vita e di alimentazione di vasti strati di popolazione. Tali cambiamenti hanno determinato nei Paesi di antica tradizione viticola una sostanziale riduzione dei consumi individuali di vino ed un continuo aumento della richiesta dei prodotti garantiti al consumatore dalle leggi sulla “denominazione di origine”. E’ questo uno degli avvenimenti che hanno maggiormente influito sulla produzione e sul mercato del vino, modificando sensibilmente la cultura dei produttori e dei consumatori.{/slide} {slide=Viticoltura e religione}
Durante la loro storia millenaria la vite ed il vino hanno esercitato sulla cultura dell’uomo un’influenza rilevante e sotto molteplici aspetti superiore a quella di altri prodotti agroalimentari. Ciò è da attribuire principalmente ad alcune particolari caratteristiche di questa bevanda.
All’uomo primitivo la fermentazione del mosto dovette apparire senz’altro un fenomeno misterioso, determinato da forze extraterrestri, alle quali egli collegò anche lo stato di euforia e di ebbrezza causato dal vino. Non è inoltre da escludere che il colore del vino, richiamando quello del sangue, abbia indotto l’uomo ad attribuirgli, già in epoche anteriori alla religione cristiana, elevati valori simbolici ed in particolare la funzione di stabilire una connessione tra l’uomo e la sfera della trascendenza.
In Grecia, già in età micenea, era diffuso il mito di Diòniso, dio della vegetazione, della fertilità, della procreazione, della vite e del vino, il cui culto era originario della Tracia, della Frigia, oppure della Lidia (il nome Bakcos è di origine lidia). Il vino era usato nella liturgia delle feste dionisiache, nei culti orfici ed era presso i Romani consumato in abbondanza nei rituali di Bacco (o Libero).
Gli Etruschi annettevano alla vite e al vino notevole importanza sul piano religioso: Voltumna, il dio nazionale di questo popolo, era anche il protettore della vite. Nella liturgia etrusca, il vino era offerto agli dei ed era utilizzato nelle cerimonie e nei banchetti funebri.
I Romani usavano il vino nei sacrificia: nella prefatio venivano offerti sul focolare incenso e vino; nella immolatio la fronte dell’animale da sacrificare veniva bagnata con vino; carne e vino erano offerti alle divinità; sangue, latte e vino erano versati sulle tombe nelle libagioni per i defunti, con un evidente simbolismo cromatico del rosso, del bianco e del nero. Il vino era usato anche nei rituali religiosi delle popolazioni tosco-umbre: dalla “tavola veliterna”, risalente al IV sec. a.C., risulta che, prima del sacrificio, la vittima veniva purificata con vino per trasferirla dalla sfera del materiale a quella del trascendentale e del sacro.
La vite, ritenuta sacra nell’antica Cananea, fu dagli Ebrei considerata albero messianico. E’ stato anche ipotizzato che l’albero del Paradiso fosse la vite. Nell’antico Testamento Israele è la vigna del “Signore delle schiere”, che sarà abbandonata “allo squallore, non sarà più né potata, né sarchiata”, perché, mentre Dio aspettava che “facesse uve, fece invece lambrusche” (Isaia, 5).
Centinaia sono le citazioni della vite e del vino nell’antico e nel nuovo Testamento. La parola Yayin, con la quale viene indicato il succo di uva fermentato, compare oltre 140 volte nell’antico Testamento.
Il vino è stato, inoltre, protagonista di celebri avvenimenti biblici: da Noè (Gn 9, 20-25), che piantò la vite con la conseguenza della più famosa ubriacatura della storia, a Lot, che, ubriacato dalle figlie, venne indotto all’unione incestuosa da cui nacquero Noab e Ben-Ammi, capostipiti delle tribù dei Noabiti e degli Ammoniti (Gn 19, 1-11); dal grappolo d’uva di enormi dimensioni, simbolo della fertilità della terra della Valle di Escol (Nm 13, 23), a Cristo, che paragona se stesso alla vite e gli uomini ai tralci (Gv 15, 5) e che nel miracolo delle nozze di Cana trasforma l’acqua in vino (Gv 2, 1-12). Nell’ultima cena, infine, Gesù affidò al pane ed al vino, attraverso il mistero della transustanziazione, il ritorno agli uomini del suo corpo e del suo sangue.
La Chiesa cattolica ha sempre considerato con attenzione la viticoltura. Nel 1562 l’Arcivescovo di Parigi scomunicò i “diablotinos”, insetti che danneggiavano le viti, e fino al XVIII secolo il Municipio di Torino comprava a Roma una “maledittione”, che l’Arcivescovo, in una cerimonia pubblica, scagliava contro i parassiti delle vigne.
Nel 1987 è stato fondato in Italia un Gruppo di Studio Internazionale denominato “Il vino sull’altare“, che svolge studi sulla storia, la liturgia e la scienza del “Vino da Messa” e sul ruolo delle religioni nella diffusione della vite. Il Gruppo organizza seminari di studio e promuove ricerche per la produzione di un “Vino da Messa ideale”. Recentemente è stato ottenuto con la “Malvasia di Schierano”, un vino denominato “Malvaxia Sincerum”. E’ anche allo studio un altro vino da Messa di “Moscato d’Asti”, che sarà chiamato “Alleluia”.
Anche nel Corano si trovano vari riferimenti alla vite ed al vino, che è condannato come opera di Satana (Sura, “La Tavola imbandita”, 90-91); nel paradiso, però, scorrono “ruscelli di un’acqua che mai sarà malsana e ruscelli dal gusto inalterabile, e ruscelli di un vino delizioso a bersi… ” (Sura, 47, Muhammed).{/slide} {slide=Viticoltura e arte}
I valori simbolici, religiosi e culturali della vite e del vino sono stati espressi, fino dalle epoche più remote, in una serie vastissima di raffigurazioni. Qualsiasi esemplificazione o tentativo di sintesi di questo grandissimo patrimonio artistico risulterebbe riduttiva. Si può, infatti, supporre che siano rari i musei, le chiese, i luoghi archeologici in cui non siano presenti opere d’arte attinenti alla vite ed al vino.
Tra i recipienti usati per il vino, oggetto in tutti i tempi di produzione artistica molto ampia e diversificata, è la coppa, alla quale sono stati attribuiti particolari valori simbolici: vaso dell’abbondanza (il seno materno che produce il latte); emisfero del cranio umano; recipiente della bevanda dell’immortalità. Secondo la nota leggenda medievale, il “Graal” era la coppa usata da Cristo nell’ultima cena, nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue del Salvatore crocifisso.
Altri recipienti usati per bere, conservare, trasportare e commerciare vino, costruiti in forme e dimensioni diverse, costituiscono un vastissimo settore in cui l’uomo ha espresso la sua ispirazione artistica: dalle anfore, ai vari contenitori di terracotta, di ceramica, di vetro, fino alle botti di legno con la faccia scolpita, tipiche della tradizione dei Paesi germanici, ed ai moderni, raffinati bicchieri, in cui si compendiano la bellezza artistica e le condizioni fisiche più adatte per la valutazione visiva ed organolettica dal vino.
L’arte è stata espressa anche in altri oggetti quali bottiglie, etichette ed anche cavatappi, di cui esiste una collezione di oltre 1200 esemplari costruiti durante gli ultimi tre secoli in vari Paesi del mondo.
Molto vasta e di antichissima origine è inoltre la poesia ispirata alla vite ed al vino, fiorita in tutti i tempi e presso le varie civiltà: dalle raffinate espressioni del Cantico dei cantici ai poemi omerici; dagli eleganti versi di Alceo, fino ai vari poeti latini, e successivamente, ai “Carmina Burana”, stupendamente musicati da C. Orff nel 1937; dalle composizioni goliardiche di Morando da Padova al “Bacco in Toscana” di Redi che, fra l’altro, condannava duramente altre bevande, quali il caffè, la cioccolata e soprattutto la birra, ai poeti contemporanei, sia italiani (Carducci, Pascoli, Pavese, Trilussa ed altri), sia stranieri, tra cui Petöfi, il poeta della rivoluzione ungherese, che assimilava il vino alla poesia e in particolare Baudelaire, che al vino dedica cinque poesie, in cui esprime i diversi, profondi sentimenti che legano l’uomo a questa bevanda. Il vino ha ispirato anche poeti di culture orientali, di cui l’esempio più celebre è Omar Khayyam, vissuto in Persia tra il 1000 ed il 1100, che al vino dedicò molte delle sue celebri “quartine”. Vari sono, infine, i riferimenti alla vite e soprattutto al vino anche nell’antica poesia cinese.
Nella cultura popolare l’interesse per la vite ed il vino è documentato anche dall’esistenza di numerosissimi proverbi, tramandati da secoli nei vari Paesi viticoli molti dei quali giocosi, caricaturali o sarcastici, altri didascalici attinenti alle tecniche viticole ed enologiche, altri ancora moraleggianti. In una recente pubblicazione sono stati raccolti e commentati circa 5.500 proverbi italiani, molti dei quali comuni a varie regioni e spesso espressi in forma dialettale.{/slide}