Tentativi di botanica degli affetti, gli acquerelli di Maria Sibylla Merian e il Vigna San Francesco 2019 di Tasca d’Almerita
Scritto da Leila Salimbeni | Pubblicato in recensioni gastronomia, vino
Rimanendo in tema di botanica, esistono poi “vini acquerello”. Lo sono molti Rossese di Dolceacqua, molti Rosso di Montalcino, tante Schiave, alcuni Nerello Mascalese, molti Chianti Classico e lo sono perfino, e senza che lo si potrebbe sospettare, anche alcuni Grignolino. E poi tanti, tantissimi rosati e altrettanti bianchi. Acquerello, sì, ma con una struttura ben disegnata sotto alle tracce, annacquate, dei colori; una struttura che, non lo dimentichiamo, è forma, oppure come ebbe a dire Guillermo del Toro in quel suo bel film del 2017, “forma dell’acqua”.
Come anche si evince leggendo i “Tentitivi di Botanica degli Affetti” di Beatrice Masini: un tratto, il suo, la cui prosa, vergata con mano leggerissima e spietata al contempo, sembra uno di questi acquerelli intagliati vivi sulla superficie delle cose del mondo, posto che si abbia la sensibilità per fissare un punto solo nel simultaneo accadere della vita. Proseguendo con questo genere di astrazioni arriviamo dunque alle tavole della naturalista e pittrice tedesca Maria Sibylla Merian che, a ben vedere, ricorda proprio Miss Bianca del libro chiamata com’è, quest’ultima, a ritrarre piante e fiori del giardino di una tanto ordinaria quanto stravagante famiglia milanese nella seconda metà dell’Ottocento.

In tutti i casi – libro, tavole, vino – alberga la volontà di immortalare non il totale ma il particolare al fine di impreziosire il quotidiano. Lungi dal rappresentare un paesaggio, dunque, qui il mondo è quello del dettaglio, fosse anche l’insetto, come testimone più vitale del brulicare della vita. Infinitesimale, forse, ma affatto insignificante nell’economia di questo nostro mondo vivente.
Ed è così che mi sono tornate alla mente le parole del Professor Nicola Francesca dell’Università degli Studi di Palermo il quale, durante un convegno organizzato da Sicilia DOC, ha insistito a gran voce sulla componente invisibile della biodiversità che l’essere umano, preso dalle grandi cose del mondo civilizzato, proprio non vede perché, per vederle, occorre farsi da parte. Una esistenza secondaria e laterale che è comune tanto ai Tentavi di Botanica quanto alle tavole della Merian e, di certo, sembra esser stata compresa e sposata appieno da Tasca d’Almerita che, presso il parco vitato di Regaleali, mette a dimora, assieme alle palizzate per le viti, fasci di canne che servono per controllare, ogni due mesi, lo stato di salute della terra, auscultato sulla base della quantità e della qualità degli esseri, vertebrati o invertebrati, che la abitano, e censiti uno a uno.
Non stupisce, in quest’ottica, il legame tra Alberto Tasca d’Almerita e Stefano Mancuso e di certo colpiscono alcune etichette della grande azienda sicula che, dalla loro, parlano molto eloquentemente di questo rinnovato sodalizio. Un legame che prospera rigoglioso senza dubbio sull’Etna di Tascante e, tornando a Regaleali, alberga senz’altro nel Vigna San Francesco 2019: uno dei più puri Chardonnay nazionali assaggiati negli ultimi anni. Senza particolari velleità borgognone, il Vigna San Francesco è un acquerello che, nonostante la natura aggraziata e longilinea, manifesta, nel nerbo, l’importanza stentorea dei grandi vini.

E difatti anche il colore, oro, non è intenso ma acceso da una luca adamantina. L’olfatto, poi, è un mosaico o, meglio, una vetrata di elementi chiari, dove frutta gialla e verde matura cedono il posto a note di fiori appassiti, polvere da sparo ed erbe aromatiche. Grande, poi, la struttura, tanto che per tornare alla “forma” di cui si parlava in apertura, questo vino avrebbe quella altera ed ecumenica dell’obelisco.