Azienda Agricola Mazzone: vini dal carattere autentico e sincero

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Il paesaggio è quello di una distesa a perdita d’occhio di ulivi e di vigneti, inondati dalla luce accecante di una bella giornata di giugno e dai contorni quasi deformati a causa del forte calore.

 
L’agro di Ruvo è uno dei più estesi della Puglia e il suo territorio fa parte del Parco Regionale dell’Alta Murgia. Un territorio che in passato era diviso in pochi latifondi appartenenti a grandi proprietari terrieri, il più importante dei quali, Antonio Jatta, aveva fondato una enorme cantina destinata alla produzione di vini da taglio, le cui vestigia rimangono ancora oggi, a testimonianza degli antichi splendori, a metà strada tra Ruvo e Altamura. In seguito, l’ingente parcellizzazione operata negli anni ’50 dall’Ente Riforma Fondiaria e dalle inevitabili successioni ereditarie finì per frammentare inevitabilmente il territorio, motivo per cui è normale che qui le aziende vitivinicole abbiano i loro vigneti sparsi e distanziati gli uni dagli altri, rendendo più difficile la loro gestione.

A spiegarmi tutto questo è Francesco Mazzone, titolare ed enologo dell’omonima azienda. Una realtà a conduzione familiare, viticoltori dagli anni ’70 ma produttori di vino dal 2004, ovvero da quando Francesco, ancora studente di enologia, iniziò la sua attività in azienda con la produzione di Immensus, prima etichetta ottenuta da Malvasia Bianca. Predestinato insomma a raccogliere l’eredità di un grande amore per la terra trasmessogli dal suo papà, che, da bambino accompagnava nelle sue attività in campagna.

Francesco è un ragazzo serio e pacato ma gli ridono gli occhi quando racconta delle sue prime esperienze amatoriali di vinificazione all’interno di un locale di famiglia adibito a cantina nel centro storico di Ruvo, in cui venivano utilizzate le uve di un vecchio vigneto ad alberello di Nero di Troia (di un clone ormai andato perduto), pigiate fino a notte fonda con un torchio di legno, oggi esposto nella sua cantina. Il risultato era un vino che si buttava a Marzo e che innescava competizioni in famiglia per il titolo di miglior aceto!

In vigna, dove il caldo di mezzogiorno ha liberato nell’aria il delicato profumo della vite, percettibile solo in questo periodo dell’anno, Francesco sembra trovarsi perfettamente a suo agio come in un elemento naturale e, mentre con gesti gentili elimina dai neonati grappolini i residui della fioritura appena finita, mi racconta della sua azienda e del suo modo di fare il vino.

Tutti i vigneti sono di proprietà e condotti in regime biologico dal 2013, un passaggio naturale che ha semplicemente reso ufficiale ciò che per intima e radicata convinzione veniva da sempre e di fatto applicato. La concimazione viene effettuata con il sovescio del favino, mentre per i trattamenti antiparassitari vengono utilizzati rame e zolfo, nonché i confusori sessuali per le tignole, che rilasciano ormoni femminili e confondono i maschi.

Coerentemente con una linea di pensiero indirizzata al rispetto del territorio e della sua identità, vengono coltivati solo vitigni autoctoni quali Malvasia Bianca, Minutolo, Bombino Bianco e Nero di Troia, allevati in parte a tendone e in parte a spalliera; forma di allevamento, quest’ultima, non pienamente funzionale alle caratteristiche climatiche della zona in quanto non protegge sufficientemente i grappoli dalle scottature. Per la riconversione di alcuni vigneti in previsione per il prossimo anno la scelta ricadrà nuovamente sul tendone, nonostante la Comunità Europea finanzi i reimpianti a spalliera, mirati a produzioni di elevata qualità.

Il tendone, infatti, garantendo una maggiore superficie fotosintetizzante, una migliore evapotraspirazione e un miglior equilibrio vegeto-produttivo (oltre ad una raccolta più semplice e veloce), costituisce, insieme all’alberello, la forma tradizionale di allevamento più usata in Puglia, applicabile, nonostante il comune pensiero, a una viticoltura di qualità attraverso l’opportuno abbassamento delle rese.

Anche questo significa rispettare la natura e il territorio, assecondare le loro caratteristiche ed esigenze, che diventa regola di vita e modo di essere senza inchini a mode futili e transitorie.

L’obiettivo perseguito con tenacia è quello della qualità senza compromessi, ottenuta con un maniacale lavoro in vigna che escluda poi qualsiasi intervento di “restauro” in cantina. “Le etichette prodotte sono 10, ma nelle annate in cui il vino non ci piace, non lo produciamo!” è il perentorio diktat di Francesco Mazzone.

“Collezione Jazzisti” Minutolo Passito e “Filotorto” Nero di Troia in purezza recentemente premiati alla Vinoway Wine Selection 2019 nella Selezione Argento, vengono infatti prodotti solo nelle annate migliori e solo se rispondenti a determinati requisiti qualitativi.

Per la stessa ragione di conformità alle intrinseche caratteristiche del prodotto e non del mercato, “Capocasale” Nero di Troia in purezza generalmente commercializzato dopo due anni di affinamento tra acciaio e bottiglia, è uscito, nell’annata 2018, insolitamente già a marzo 2019, assecondando proprio la precoce morbidezza acquisita, la fragrante piacevolezza delle note fruttate e la leggera nuance vegetale tipica del millesimo.

Quello che maggiormente colpisce è che tutti i vini dell’azienda sono contraddistinti da un evidente carattere di autenticità e sincerità, in quanto prodotti di una viticoltura artigianale che si fa garante del rapporto di profonda connessione tra il vitigno, il territorio e le sue tradizioni, attraverso una linea di pensiero e di azione improntata al rispetto dell’ambiente e delle tipicità.

Un approccio genuino, inteso nell’accezione più nobile del termine, che traspare già dalla franchezza e dalla trasparenza con cui Francesco si racconta, e che ritroviamo con intatta forza nelle sue creature.

Credits: Antonio Scatigna

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