Cantine Astroni: le insolite suggestioni del Piedirosso

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Tra un cratere e l’altro, tra emozioni e cultura, l’oro rosso di Napoli nasce in uno dei posti più magici del Mediterraneo, su territori ricchi di storia e tradizione.

 
Luoghi ricchi di natura e carichi di storia. Dove la luce del sole abbraccia il verde intenso di vigneti che si affacciano sulla città più “carioca” d’Italia, quasi a toccarla con un dito. Vigne che diventano punti di fuga, così in alto da dimenticare smog e rumori metropolitani, tramutandosi in ampi spazi da vivere, sapori da ricordare e panorami da immortalare.

Tutto inizia da qui, dal sottosuolo a occidente del Golfo di Napoli. Tra storie di sibille e dei degli Inferi, il Piedirosso incontra l’archeologia mentre le bellezze create dalla Natura e dall’uomo si fondono insieme per dare vita ad un capolavoro: i Campi Flegrei. Un’insolita avventura in un paesaggio dalle tinte forti e colorate, con le vigne sulla città e le solfatare, dove trovi l’Averno citato da Dante, l’Antro della Sibilla, gli scavi di Cuma, la città sommersa. E trovi anche chi sapientemente comunica questi plus in un raffinato sorso di vino, un’azienda che sorge su 3800 anni di storia, sul cratere di Astroni, uno dei tanti dell’intera caldera flegrea.

Le Cantine Astroni nascono nel 2001, in realtà la famiglia Varchetta è nel vino da sempre, da oltre 100 anni, da Vincenzo nel 1891 al figlio Giovanni fino ad arrivare alla quarta generazione, quella di Gerardo ed Emanuela. Una storia lunga, di “terra e di uomini” animati dall’amore per le proprie radici, un ideale condiviso da un’intera famiglia riflessa nei suoi vini. Vini che esprimono tipicità, che parlano di territorio e di orgoglio di appartenenza.

Di passione per quei vitigni antichi che hanno sconfitto la fillossera e che crescono ancora su piede franco. Da una storia con radici profonde, Gerardo Vernazzaro ed Emanuela Russo hanno raccolto questa eredità splendida ma impegnativa, perché il Piedirosso è sì uva di grande ricchezza ma richiede tanta dedizione e pazienza.

 
Una cantina metropolitana, a pochi chilometri dal centro abitato, delimitata ancora dalle vecchie mura costruite dai Borboni. Quasi una sentinella dei 270 ettari di bosco monumentale, un tempo riserva di caccia borbonica e ora splendida oasi naturale del WWF. Un vero e proprio polmone verde della città di Napoli da dove vedi Capri e Posillipo, Punta Campanella e i Monti Lattari. Un film che ha il ricordo delle mille storie che vi si sono svolte, dove Piedirosso e Falanghina sono i protagonisti ma l’attore principale è sempre e solo lui, il terroir.

Suoli vulcanici, friabili, esclusivamente sabbiosi, con ricordi di pomice e di travertino, un po’ di tufo, qualche scheggia di piperno, lapilli e fondamentalmente cenere. Grande fertilità, dunque, che dona ai vini di Astroni eleganza e finezza, sapidità e salinità spinta. E poi la tradizione, alla base delle tecniche enologiche di Gerardo Vernazzaro: sovesci importanti con leguminose ad arricchire il terreno, ossigenazioni continue, l’uso dei legni tipici della zona (il ciliegio per la fermentazione e il castagno per l’affinamento).

È dalla Terra che nasce la vita e il Piedirosso abita qui da tempo immemorabile, un tesoro che si riscopre ad ogni stagione e che da secoli profuma l’economia del territorio. Il Per’ e palummo dal raspo rosso come una zampa di colombo è varietà rustica e vigorosa, complicato in vigna così come in cantina, dalla resa medio-bassa ma costante. Si aggrappa alla luce e alla vita cedendo in cambio ampiezza di naso e sapidità agli estremi, tannini e frutto nel finale. Ora vive un momento felice eppure, fino a non molto tempo fa, era un vino da accantonare. “Quello che era un difetto di produzione, quello di riduzione appunto, era spacciato come pregio – racconta Gerardo – una tipicità che poteva piacere ai locali che ne erano assuefatti ma non ai consumatori esterni che non lo gradivano e né lo apprezzavano”.

Una deviazione che ha creato non pochi danni a livello di percezione e di mercato. Poi il know how si è evoluto: nuovi enologi e il sapiente lavoro svolto dal Consorzio dei Campi Flegrei, presieduto dallo stesso Gerardo, hanno permesso la ripresa di una micro DOC piccola e giovane, quella dei Campi Flegrei, nata nel 1994 e che di ettari ne conta appena 100, mostrando però un potenziale altissimo e diverse punte di eccellenza. Ed è così che il Piedirosso, quello che era il figlio di un bacco minore, ora vive la sua giusta rivincita.

 
L’esperienza del vecchio e la forza del giovane, tradizione e innovazione in 25 ettari più 10 di conferimento. Se sui terreni agli Astroni l’azienda punta sulla Falanghina, sulla collina dei Camaldoli il Piedirosso domina la città e guarda dall’alto Ischia e Capri.

Un richiamo che seduce. Irresistibile. Spettacolare. Tre ettari di vigna con prove sperimentali in campo e la produzione di due etichette. Qui il Per’e palummo è figlio della terra che poggia su placca tufacea di 12.000 anni, qualcosa di ancestrale che si propaga nel terreno, affiora in superficie e imprigiona l’olfatto nel cru Riserva Tenuta Camaldoli, poco più di 1.000 bottiglie nate da un’accurata selezione dei grappoli. Non chiarificato e non filtrato, affinato in legno di castagno e poi in bottiglia per 20 mesi. Il figlio migliore di queste vigne finisce così per ubbidire alla prima regola, quella di conservare il territorio e ha solo un’arma, il suo profumo. Complesso e aggrappato a toni minerali e floreali di geranio e viola, con le erbe aromatiche, rosmarino e menta, che fanno da sfondo a sfumature di sottobosco e piccoli frutti rossi come ribes e mora.  

Tannini eleganti, sottili, un finale minerale e speziato. La bellezza del Piedirosso è la sua riconoscibilità, non si confonde con altri, ha la sua personalità. Il suo volto più tradizionale, invece, si esprime con le note iodate e affumicate del Colle Rotondella, affinato “sur lies” in acciaio per 4 mesi. Accattivante, dalla tendenza vegetale e dal naso molto intenso: un arcobaleno di fiori e frutta, prugne e mirtilli e garofano, foglia d’olivo, note balsamiche e intriganti sentori affumicati. Una tannicità gentile e la sapidità elegante nel suo finale. Eccolo il fascino dell’enfant terrible della viticoltura flegrea, la sua tipicità.

Lontano da tutto ciò che è oscurità, vive e si ciba di sole e di terra ardente; figlio di un territorio che è un intreccio di linee curve, dove la storia, la natura e l’uomo trovano un’armonia misteriosa, tra crateri spenti e colline vulcaniche. Il mare è giù, lo vedi e ti sembra di toccarlo ma è anche qui in alto, un mare immobile di vigne. Da queste parti la chiamano ‘a muntagna e con i suoi figli non è mai stata così generosa.

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