Il tempo (e il tempio) degli Spinelli

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E dunque anche quest’anno è passata la Pasqua.

Le vicende di salute di Papa Francesco, segnerà un ulteriore elemento di arcano in questi giorni passati così pieni di misticismo.

Gli olocausti, il pane, il vino e il Getsemani e tutto il resto di una liturgia mille volte descritta e mille volte interpretata. Che sia abbia o meno il dono della fede nel Dio di Abramo, nella sua versione cristiana o islamica, cattolica o ortodossa, la Pasqua si compie sempre, come la primavere. Momento di massima intensità metafisica di tutti, financo degli agnostici o degli atei.

E gli elementi liturgici sono sempre i medesimi: un tempio, il cibo, il pane e il vino e la condivisione degli stessi.

E forse ogni città ne ha bisogno, che appena questa liturgia si ripropone si ripresentano i caratteri dell’umano primigenio, di fratellanza, di memoria, di condivisione e di espoliazione di molte sovrastrutture che la gente che si incontra per bere non può che essere gente per bene.

Nello spazio e nel tempo dell’impersonale e del singolare, per forze naturali o superrime nasce, spontaneamente, un luogo ed un momento nel quale tutto ritorna all’uovo, all’archetipo, all’ancestrale. Lo fa in un giorno di fine marzo nel secolo della frantumazione dei sogni e anche delle realtà.

Una dimensione immaginifica si erge, e ciò che si guarda spesso come nutrimento del corpo, anche eccellente, di colpo si fa nutrimento dello spirito, scioglie renitenze, stimola disponibilità, e l’imprenditore di successo, ridiventa salumiere, il sommelier di gran naso ricade nell’appassionato e l’appassionato trasforma la sua passione in piacere invece che patimento.

Come nasce l’alchimia? Di colpo, in un ambiente perturbato reattivo fatto da persone dense di memoria e di desiderio di intrecciarla con altre memorie, entra un enzima, un fecondatore in modo spesso fortuito, e l’angolo degustazione fa una metamorfosi: diventa tempio, e il cibo sublima in preziosa spezia e il vino sorride, felice di aver prodotto cotanta bellezza.

Allora deve essere un “vino speciale” che viene da una storia speciale, da chi ha vissuto l’ottovolante della storia, da potente feudatario a “marrano” da cassare. Anche dal ricordo.

Lo Spumante Rosato “Rem” di Terre dei Vaaz

Terre dei Vaaz è intriso di storia e di misticismo, ed è la dimostrazione che anche il futuro può esser primitivo e che il Primitivo non esiste ma esistono i primitivi con buona pace di chi continua a predicare la sterilizzazione delle diversità. Solo l’eresìa produce progresso e il Rem non è solo un sogno è anche un “vino spumante” che non somiglia a nessuno spumante è nemmeno ai cugini delle campagne d’oltralpe. Il Rem è un rosa d’oro, di bollicine sottili, di profumi intensi e di beva freschissima che è, riuscendo benissimo a non sembrare.

Poi il Primitivo diventa maschio, cordiale e vellutato, come può essere un gentlemen di buona famiglia, mai sopra le righe, elegante, con la sua bombetta e il suo bastone, il primo con la tesa diamantata e il secondo con uno stocco d’acciaio nell’anima. Onirico, che ci consegna al sogno di una eterna giovinezza consapevole.

E, infine, a cercar la compagnia d’ottima zampina, un volto segnato dalle rughe del sole e della fatica, della vita vissuta e del rialzarsi cento volte a fronte di mille giganti. E giganti d’ogni fattura, perfino quelli che vengono da dentro e, a volte, sembrano imbattibili. Ipnotico si chiama, ed è capace di calamitare l’attenzione di tutti e di ciascuno, in un gioco circolare aperto a tutti, che nell’ipnosi nessuno mente e si balza nel tempo, ben prima dell’orrido Homo homini lupus. Si atterra direttamente nel Homo homini deus, che, più tardi diverrà l’ama il prossimo. E s’apre la disputa su chi sia il prossimo. Il cioccolato, il culatello, l’erborinato o, semplicemente, chi ti è di fronte o di fianco e che, come te, si è stufato di dividere et imperare e ha tanta voglia di condividere e sognare. O, magari, il prossimo calice.

E dunque dove siamo? Nel tempo e nel tempio degli Spinelli. Domenico che si è rimesso a far vino, e Fedele che si è rimesso a fare il salumiere nel tempio della ricostruzione sociale. Il primo a Sammichele di Bari ed il secondo sulla via di Porta Lecce a Brindisi. Che a frequentarli non v’è peccato, il peccato è non farlo.

Grazie di Esistere e di continuare a Resistere.

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