Prosecco “Ciodet”: tradizione in bottiglia

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“Ciodet” nel dialetto veneto sta a indicare il chiodo in ferro battuto, quello a sezione quadrata, cola la testa leggermente piramidale, fatto a mano.
Nel 1700 a Valdobbiadene esisteva una fucina dove si produceva ferro battuto, e il forgiatore era Bartolomeo Bortolomiol, che, come spesso accade in questi casi, era conosciuto nel circondario proprio con il soprannome di “Ciodet”.
All’epoca (e devo dire fino a pochi decenni fa) in queste zone il connubio tra il lavoro artigianale e quello del contadino era frequentissimo. Praticamente quasi tutti avevano un pezzo di terra da coltivare. Anche Bartolomeo abbinava alla forgia la viticoltura e di padre in figlio si è tramandata la tradizione, fino a quando negli anni ‘60 e’70 avviene la svolta.

Bortolomiol è un nome storico a Valdobbiadene che è legato a doppio filo con il Prosecco; la dinastia si è ramificatanegli anni, e Labano, figlio di Guglielmo Bortolomiol detto “Gelmo” – uno dei tre fratelli che diedero lustro al Prosecco contribuendo al successo – decide di produrre un suo marchio personale, dando vita all’etichetta “Ciodet”.

Inizia così la storia di questo marchio, con la passione dei figli che portano avanti una tradizione fortemente legata al territorio, alla tipicità e alla qualità. Attualmente si producono 200.000 bottiglie di solo Prosecco, da 10 ettari di vigneti posti a sud di Valdobbiadene e parte nelle zone di San Pietro di Feletto.

Ora l’azienda è in mano a Enrico Bortolomiol, che con passione e perizia segue la filiera produttiva dall’inizio alla fine. Le etichette prodotte sono cinque: un brut, due extra dry di cui uno millesimato, un cartizze e un Prosecco DOC. Ovviamente i primi quattro sono Conegliano-Valdobbiadene Superiore DOCG.

Ma vediamo la produzione nel dettaglio partendo dalla Versione Brut del Conegliano-Valdobbiadene superiore DOCG. Il nome che trovate sull’etichetta è quello del padre di Enrico, Labano.
La base spumante è ottenuta da uve Glera al 100%, e i lieviti sono stati isolati da ceppi di proprietà della famiglia Bortolomiol, preparati in forma di crema che garantisce quasi il 100% di cellule vive e attiva uno scambio veloce durante l’avvio della fermentazione. La presa di spuma dura 45 giorni e ne esce uno spumante con 8 gr/litro di residuo zuccherino.
Devo dire che mi è piaciuto; note floreali di biancospino, fruttate di mela verde. Acidità sostenuta, sapido, con un corpo sopra la media. Verticale, e diretto.

L’Extra Dry è invece dedicato al nonno “Gelmo”; anche qui i 45giorni di presa di spuma per un prodotto finale con 15g/litro di residuo zuccherino. E’ più rotondo, avvolgente, si ritrova la mela golden e note di pera, acidità e sapidità ben bilanciate. Morbido nel finale che è abbastanza lungo.

Il millesimato Extra Dry porta il nome dell’avo “Giosuè” e si arriva a 18 gr/litro di residuo zuccherino. Qui le note di frutta sono decise e vanno dalla pera williams matura, alla mela gialla; si sentono i profumi di fiori di acacia e un soffio di glicine. Aumenta la morbidezza al palato, e resta una bella freschezza data dall’acidità che non stona.

L’impressione che se ne ricava è di un lavoro di qualità, dove la ricerca dei tratti caratteristici del Prosecco è costante così come la voglia di dare un’impronta personale a questi spumanti.

Nulla è lasciato al caso perché il loro vino deve emozionare, colpire chi lo beve, deve riuscire a far spalancare gli occhi e lasciare un segno. Niente banalità dunque, nessun compromesso o appiattimento verso standard che non hanno motivo di esistere. Qui l’anima della tradizione emerge e lascia il segno.

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