Il Brassaggio: la fatica della birra
Scritto da Pino De Luca | Pubblicato in birra
Anche a far la birra si fatica, o almeno, si faticava…. In lingua francese i fabbricanti di birra si chiamano “Brasseurs” e, assai spesso, Brasserie è il sinonimo di Pub nel quale mangiare qualcosa e bere della birra prodotta nel medesimo luogo.
Certo c’è chi fa derivare il termine Brasserie da Braceria ma l’umana fantasia non riesce a porre limiti all’approssimazione.
In realtà il Brassaggio è una delle fasi fondamentali, e, un tempo più faticose, nella fabbricazione della birra. Che un tempo si faceva a braccia (in francese Bras). Riportiamone la descrizione.
Il Brassaggio del malto.
Il malto contiene dello zucchero, della destrina della diastasi e tuttavia dell’amido che deve essere convertito in materia zuccherina da fermentare.
È evidente che se il malto venga trattato con l’acqua calda, questa ridurrassi in una soluzione suscettibilissima di fermentare; ed inoltre per la contenuta diastasi, l’amido agevolmente convertirassi esso pure in zucchero fermentiscibile.
Gli apparecchi che servono pel trattamento del malto, consistono in grandi tini di legno muniti di un doppio fondo tutto bucherellato. Su questo doppio fondo vien posto il malto, e dallo spazio vuoto compreso tra il fondo vero del tino e il piano bucherellalo fassi arrivare dell’acqua calda. Per 38 ettolitri di malto, (un ettolitro, equivale a 1 sacco, 1 stajo, e 3 mezzette, misura toscana) la prima quantità d acqua che vi si fa pervenire alla temperatura di 75 gradi é di litri 2700. In questa quantità stemprasi il malto o a braccia (brasser) o mediante un agitatore meccanico. Dopo circa mezz’ora il malto è perfettamente penetrato dall’acqua che fu introdotta ponendo come dicemmo il fondo del tino in comunicazione con una grandiosa caldaja dentro la quale l’acqua va fino all’ebullizione.
A questo punto fassi pervenire nel tino una seconda carica d acqua di 2000 litri alla temperatura di circa 90 gradi, e si rinnuova l’agitazione del miscuglio. Perché la diastasi non si decomponga dannosamente, e procuri bene la metamorfosi della fecola, fa d’uopo che la temperatura del misto tengasi tra i 70, e i 75 gradi.
L’acqua che giunge nel tino a 90 gradi trova la temperatura del primo miscuglio così discesa da non oltrepassare la media che abbiamo accennato. Dopo circa due ore di riposo della massa a tino coperto, si procede al discarico del liquido mediante una grossa chiave collocata sul fondo, rigettansi le prime porzioni torbide sulla massa ed il liquido chiaro (circa 3000 litri) fassi pervenire per via di pompe in serbatoj posti in alto convenientemente cosi che da essi possa farsi discendere nelle grandi caldaje entro le quali deve farsi bollire col luppolo.
Sul malto rimasto nel tino, per completarne lo esaurimento si fa pervenire un circa 3400 litri di acqua a 90 gradi; la quale pel raffreddamento che inevitabilmente subisce non supera nel tino i 75 gradi all’incirca. Si agita di nuovo il misto, si copre e si abbandona il tino per circa 2 ore, e indi si trae il liquido chiaro per ridurlo nel serbatojo stesso in cui fu raccolta la prima cotta.
Un terzo trattamento ad acqua bollente (circa 2700 litri) si pratica sul malto del tino, e cosi rimane sgombra la caldaja destinata al riscaldamento di tutta la massa dell’acqua. Questo terzo decotto che si abbandona al riposo per un’ora, viene raccolto a parte, e serve a prepararne la così detta piccola birra, ovvero si adopera come se fosse acqua nuova ad operazioni successive. La massa del malto viene così divisa in due parti distinte, cioè:
1° Quella del suo residuo il quale viene adoperato come nutrimento degli animali ed in specie delle vacche da latte Questo rifiuto (Dreche) contiene infatti delle materie grasse, delle sostanze azotate, dei fosfati di magnesia e di calce, qualche poco di amido, degli avanzi di tessuto vegetabile e circa 50 per cento d’acqua, che tutto unito ad altri alimenti conferisce benissimo agli animali.
2° L altra parte è quella che passa come materia solubile nell’acqua, ed è zucchero o mucillaggine ascendente a 494 chili per i 38 ettolitri di malto adopralo, ovvero 13 chili per ogni ettolitro. Da queste quantità non ottiensi in definitivo lavoro che 68 ettol. di birra ordinaria.
Questi dati sono suscettibili di variazioni dipendentemente dall’orzo che si adopera e dalle fasi subite nella descritta lavorazione. Puossi trarre giudizio delle buone prerogative dell’orzo, e del regolare procedimento della operazione, deducendolo dalla quantità dello estratto ottenuto; imperciocché, le migliori qualità danno da 0,45 a 0,46 d’estratto che corrisponde a 0,58 ovvero 0,60 del peso del malto. L’orzo di seconda qualità fornisce di rado 0,40 del proprio peso ovvero 0,53 del peso del malto. Ecco alcuni dati prospettivi.”
Ed anche sul brassaggio abbiamo informato i nostri cari lettori. E mentre bevo una birra, comunico che con le Dreche (che da noi si chiamano Trebbie) si possono certamente alimentare le vacche ma il mio fratellino Mimmo Persano ci fa un pane meraviglioso …. Schiuma fine, poco persistente. Colore ambrato chiaro, limpido. Fragranze di malto e di frutta. In bocca fresca, di corpo leggereo, dolce ed erbaceo ben armonizzati, una buona carbonazione la rende molto molto beverina. Meno di 5% di alcool. Si chiama November Ray, pale ale di B94. Il pane si fa con le sue trebbie.