Deta: una panoramica sui distillati toscani

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La distilleria Deta – Grappe e distillati dal 1926 (detadistilleria.it), in Toscana, ha alle spalle una storia di circa 100 anni seppur per la produzione di sfuso e private label. Un osservatorio importante, dunque, per attestare – ahinoi – anche il calo dei consumi del nostro distillato nazionale: la grappa. “C’è da farsi delle domande” afferma infatti il direttore generale Francesco Montalbano: è un prodotto che richiede dedizione, non è più popolare tra i giovani e sono cambiate le occasioni di consumo sebbene si tratti di un prodotto territoriale quindi teoricamente d’appeal per il degustatore appassionato di vino.
Nonostante ciò, 4 anni fa, si lancia una linea interna puntando a un lavoro minuzioso e contando, finalmente, sul Consorzio Italiano di tutela: Consorzio Nazionale Grappa fondato a marzo 2022.
Una linea completa che spazia dalle eccellenze tipiche regionali: le grappe di Chianti Classico e Brunello di Montalcino, a Brandy, Amaro e al popolare Gin, tra quelli più interessanti.

Partiamo dall’ ‘Antico Amaro delle Terme’ (già premiato da Meiningers e alla London Wine Spirit Competition nel 2021): infuso di erbe officinali e radici di 20/25 giorni maturato 2 mesi in barrique e la cui tendenza dolce è aumentata negli anni per rispondere alle richieste di consumo senza tradire la sua essenza con note specialmente di radici al naso. Poi il brandy, “Quattrino”, che non scimmiotta alcuna produzione oltre confine e mi colpisce proprio per un profilo originale e riconoscibile soprattutto grazie alle note di cannella ed erbette, meno intenso al palato ma trasversalmente godibile; e, ancora, il gin, oggi così popolare ma che si presenta con un proprio stile visto l’uso di botaniche locali e ginepro del Chianti che al naso è arricchito da arancia amara e bergamotto nonché soffi pepati; equilibrato, ottimo per i cocktail. Non a caso chiamato “Giusto” nel momento in cui definirono la ricetta esatta.

E finalmente le grappe che rispecchiano le vinacce di partenza con carattere più decisi rispetto alle uve tendenzialmente più aromatiche utilizzate, ad esempio, per la nota grappa trentina.
Partiamo dalle bianche: quella di Chianti Classico offre profumi più delicati anche perché è un blend (Sangiovese, Canaiolo, Colorino, Malvasia Nera e altri); acqua di rose, chiodi di garofano, tabacco e note di vernice. Quella di Brunello, con le sole vinacce di Sangiovese è più franca: rosa canina, floreale più spinto, note terrose e speziate con particolare avvolgenza al gusto.
Le Riserve in etichetta riportano solo la dicitura “Riserva” appunto, e non “barricata” espressione che ha segnato e forse segna ancora un trend, una preferenza (il cui uso, della barrique, è ben disciplinata). Questo perché lo ritengono ormai pesante e poi perché utilizzano botti grandi di rovere francese (almeno 18 mesi) solo con un successivo passaggio in barrique: botti piccole di legno francese e americano.
Ancora una volta la Grappa di Chianti Classico Riserva è più sottile della rispettiva di Brunello con profumi pungenti di pepe bianco e sandalo; al palato è morbida, immediata e più vicina alla versione bianca di quanto non lo sia la Grappa di Brunello di Montalcino Riserva. Questa profuma di vaniglia, quasi caramello con assaggio morbido e finale fumoso.

In termini di mercato vince ancora l’appeal della “barricata”, “tanto le grappe maturate in legno, come visibile dal colore anche dai meno esperti, sono chiamate tutte così comunque” (seppur a volte impropriamente, ndr) osserva Francesco. E tra le due vincono quelle da Chianti Classico, magari anche per il prezzo più accessibile.
Il classico abbinamento con il cioccolato resta vincente.

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