Le attuali direttive sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali
Scritto da Paolo Chiari | Pubblicato in normative e leggi
La prima Direttiva sul contrasto contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali risale al giugno del 2000 e concedeva agli Stati membri due anni di tempo per metterla a regime.
Quadro normativo di riferimento
Le norme di riferimento sono:
- la Direttive UE n. 35/2000
- la Direttiva UE n. 7/2011
- il D.Lgs. n. 231/2002
- il D.Lgs. n. 192/2012
La Direttiva n. 35/2000/CE
La prima Direttiva sul contrasto contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali risale al giugno del 2000 e concedeva agli Stati membri due anni di tempo per metterla a regime.
Il fine della Direttiva era garantire ai creditori una maggiore tutela contro i ritardi nei pagamenti, tramite il decorrere automatico degli interessi a partire dal trentesimo giorno dalla scadenza dei termini per il pagamento e il diritto al risarcimento del danno anche per quanto riguarda i costi sopportati per il recupero delle somme non corrisposte nei termini stabiliti.
Il Decreto Legislativo n. 231 del 2002
Il Decreto Legislativo 9 ottobre 2002, n. 231 pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 23 ottobre 2002, n. 249, ha inserito nella nostra normativa la Direttiva n. 35 del 2000 e con essa una rilevante riorganizzazione in materia di transazioni commerciali.
Tale disciplina, orientata a principi di correttezza commerciale, riorganizza i rapporti tra committente e fornitore, dando assicurazione di:
- una maggiore garanzia al creditore
- maggiori responsabilità in capo al debitore.
Lo scopo della norma è quello di risolvere il problema dei ritardi di pagamento che costringono a sostenere pesanti oneri amministrativi e finanziari da parte delle imprese, costituendo di sovente la causa dei loro dissesti finanziari.
La normativa viene applicata solamente ai contratti conclusi dalle imprese, private o pubbliche, che abbiano quale scopo la consegna di merci o la prestazione di servizi verso il pagamento di un prezzo.
La Direttiva n. 7/2011/UE
La Direttiva n. 7/2011/UE ha variato la precedente Direttiva n. 35/2000/CE ed è stata messa in attuazione in Italia con il D.Lgs. n. 192/2012
Il D.Lgs. n. 192/2012 ha variato il testo del D.Lgs. n. 231/2002.
Il D.Lgs. n. 231/2002, così come variato, rimane il testo sul quale fare riferimento per il contrasto contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali.
Le nuove normative si mettono in applicazione alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1° gennaio 2013.
Le innovazioni
- l’innalzamento del tasso minimo degli interessi legali moratori (la maggiorazione del tasso fissato dalla Bce passa da sette a otto punti percentuali);
- l’inserimento di ulteriori limitazioni alla possibilità di derogare, in senso sfavorevole per il creditore, alle condizioni previste dalla legge, ossia alla decorrenza automatica degli interessi, alla misura del loro tasso e all’obbligo di rimborsare le spese di riscossione del credito.
Ambito di applicazione
Le disposizioni in esame vengono applicate, perciò, alle transazioni commerciali definite dopo il 1° gennaio 2013.
Per “transazioni commerciali” si intendono i contratti che implicano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo.
Dal punto di vista soggettivo, la norma viene applicata alle transazioni commerciali che intercorrono:
- tra imprenditori: intendendo per imprenditore ogni soggetto esercente una attività economica organizzata oppure una libera professione;
- tra imprenditori e pubbliche amministrazioni, intendendo come pubbliche amministrazioni: gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, in ogni modo denominati, costituiti da tali soggetti.
La direttiva non viene applicata:
- ai contratti stipulati con i “consumatori”, intendendo come consumatore qualunque persona fisica che opera per scopi diversi alla propria attività imprenditoriale o professionale;
- ai debiti oggetto di procedure concorsuali, comprese le procedure rivolte alla ristrutturazione del debito;
- ai pagamenti effettuati a titolo di risarcimento del danno, compresi i pagamenti eseguiti a questo titolo da un assicuratore.
La disposizione, inoltre, non viene applicata alle transazioni che hanno per oggetto la cessione di prodotti agricoli e agroalimentari.
Infatti la recente normativa relativa a questi contratti prescrive il pagamento entro 30 giorni per le merci deteriorabili ed entro 60 giorni per tutte le altre categorie di merci. In ambedue i casi, il termine decorre dall’ultimo giorno del mese di ricevimento della fattura.
Per quanto riguarda invece gli interessi legali di mora, la normativa del settore agroalimentare stabilisce che questi siano calcolati utilizzando il tasso di riferimento determinato ai sensi del Decreto Legislativo n. 231 del 2002, aumentato di due punti.
La decorrenza e il saggio degli interessi
L’impresa creditrice avrà titolo per richiedere gli interessi di mora quando avrà osservato i propri obblighi contrattuali e di legge, e se il ritardo del debitore non sia stato causato dall’impossibilità sopraggiunta di soddisfare per causa a lui non attribuibile.
La legge stabilisce che il saggio degli interessi di mora sia pari al tasso di interesse posto in applicazione dalla Banca Centrale Europea alle sue più attuali iniziative di finanziamento principali, aumentato di 8 punti percentuali, in luogo dei 7 punti previsti in precedenza.
Si evidenzia che il suddetto tasso per il periodo 1° gennaio – 30 giugno 2013 è pari allo 0,75% e, perciò, gli interessi moratori in esame, per il primo semestre 2013, sono pari all’8,75% (0,75% + 8%).
Il tasso di interesse della BCE è stabilito per il primo semestre dell’anno in base al tasso in vigore il 1° gennaio dello stesso anno e per il secondo semestre in base al tasso in vigore il 1° luglio dello stesso anno.
Sulla base dell’attuale testo dell’articolo 4 del D.Lgs. n. 231/2002, gli interessi moratori decorrono, senza che sia indispensabile la costituzione in mora, dal giorno seguente alla scadenza dei termini per il pagamento.
I termini per il pagamento, salvo talune esclusioni che saranno affrontate successivamente, sono quelli di seguito elencati:
- trenta giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente, mentre non hanno effetto sulla decorrenza del termine le domande di integrazione o di modificazione formali della fattura o di altra richiesta analoga di pagamento;
- trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento;
- trenta giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta analoga di pagamento è antecedente a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi;
- trenta giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in momento non susseguente a tale data.
Nelle transazioni commerciali tra imprese, le parti possono concordare un termine per il pagamento superiore rispetto a quello stabilito per legge. Ciò nonostante, eventuali termini superiori a sessanta giorni devono essere esplicitamente concordati. La clausola riguardante il termine deve essere comprovata per iscritto.
Deroghe ai termini di pagamento:
- Nei contratti in cui il debitore è una pubblica amministrazione, le parti possono concordare, sempre espressamente, un termine maggiore rispetto a quello ordinario, ma in nessun caso superiore a 60 giorni e solo quando ciò sia motivato dalla natura o dall’oggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione.
- E’ concesso di definire un termine di pagamento fino a un massimo di sessanta giorni in due circostanze, vale a dire per gli enti pubblici che offrono assistenza sanitaria e per le imprese pubbliche che esercitano attività economiche di natura industriale o commerciale, introducendo merci o servizi sul mercato.
La direttiva non scarta l’eventualità che le parti pattuiscano pagamenti a rate, a condizione che gli interessi siano chiaramente conteggiati sulle singole rate scadute o in scadenza.
La questione della decorrenza degli interessi moratori va affrontare seguendo due differenti percorsi:
- Se l’obbligazione pecuniaria va soddisfatta entro un termine concordato dalle parti, gli interessi avranno decorrenza automatica dal giorno seguente alla data di scadenza;
- Se il contratto non statuisce il momento dell’adempimento, gli interessi avranno decorrenza, senza la necessità di costituzione in mora, una volta scaduto il termine legale.
Deroghe al saggio di interesse:
Nei rapporti tra le imprese può essere fissato contrattualmente un saggio di interesse differente da quello legale sopra indicato, a patto che non risulti gravemente iniquo per il creditore. Si evidenzia che il fatto di concordare un differente tasso di interesse non sembra rendere indispensabile una prova scritta, a differenza di quanto, invece, previsto per la clausola che deroga i termini di pagamento.
Nei rapporti in cui il debitore è invece una pubblica amministrazione non sono consentite deroghe e perciò si applicherà, obbligatoriamente, il tasso di interesse previsto dalla legge (per il primo semestre 2013, pari all’8,75%).
Rimborso delle spese di recupero
Il creditore ha diritto anche al risarcimento dei costi sostenuti per il recupero delle somme non sollecitamente corrisposte dall’impresa debitrice o dalla pubblica amministrazione.
Al creditore compete, senza che sia essenziale la costituzione in mora, un importo a forfait di 40 euro a titolo di risarcimento del danno, ma viene fatta comunque salva la prova del maggior danno, che può perciò ricomprendere le spese di assistenza per il recupero del credito.
La misura inserita risponde all’esigenza, valutata di fondamentale rilevanza, che un giusto indennizzo dei creditori non possa prescindere dal recupero dei maggiori costi sopportati per ottenere il pagamento dovuto.
Tra le spese di recupero dovrebbero fare parte anche i costi amministrativi e i costi interni che devono essere conteggiati come voci separate rispetto agli interessi di mora.
La previsione di un importo a forfait ha come beneficio l’applicazione più tempestiva della misura risarcitoria e al contempo dovrebbe spingere a contenere i costi amministrativi e i costi interni collegati al recupero.
E’ fatto salvo il risarcimento del potenziale maggior danno subito che potrà comprendere, ad esempio, le spese legali sopportate per il recupero del credito. Al riguardo sono consentite deroghe contrattuali a condizione che non siano gravemente inique per il creditore.
Nullità delle clausole inique
Come abbiamo visto, le parti sono libere di derogare ai termini di pagamento previsti dalla normativa, al saggio degli interessi legali di mora e anche all’ammontare a forfait dovuto a titolo di risarcimento per i costi di recupero, a condizione che tali deroghe non risultino gravemente inique per il creditore.
La valutazione sulla ipotizzabile grave iniquità per il creditore spetta al Giudice, il quale anche d’ufficio, ossia anche in mancanza di istanza delle parti, può dichiarare la nullità della clausola.
Le clausole riguardanti il termine di pagamento, al saggio degli interessi moratori o al risarcimento per i costi di recupero, a qualsiasi titolo previste o inserite nel contratto, sono nulle dal momento in cui risultano gravemente inique in danno del creditore.
Si ritengono gravemente inique, senza consentire prova contraria le clausole che escludono il diritto al pagamento degli interessi di mora.
Si ipotizzano gravemente inique le clausole che escludono il risarcimento delle spese di recupero.
Nelle transazioni commerciali nelle quali la parte debitrice è rappresentata dalla pubblica amministrazione viene valutata nulla d’ufficio la clausola avente a oggetto la predeterminazione ovvero la modifica della data di ricezione della fattura.
Il Giudice potrà esprimere, anche d’ufficio, la nullità delle clausole considerate inique, tenendo in considerazione:
- le situazioni effettive;
- la grave diversità dalla prassi commerciale in conflitto con il principio di buona fede e di correttezza;
- la natura della merce o del servizio oggetto del contratto;
- la presenza di motivazioni oggettive per venire meno al tasso degli interessi legali di mora, ai termini di pagamento o all’importo a forfait dovuto a titolo di risarcimento per le spese di recupero.
Tutela degli interessi comuni
L’articolo 8 del D.Lgs. n. 231/2002 dispone che le associazioni di categoria degli imprenditori presenti nel Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), in prevalenza in rappresentanza delle piccole e medie imprese di tutti i distretti produttivi e degli artigiani, siano legalizzate ad agire, a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al Giudice competente:
- di appurare la grave iniquità, delle condizioni generali riguardanti il termine di pagamento, il saggio degli interessi moratori o il risarcimento per le spese di recupero e di impedirne l’uso;
- di ammettere le misure idonee a modificare o rimuovere gli effetti dannosi delle violazioni rilevate;
- di disporre la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento possa contribuire a modificare o rimuovere gli effetti delle violazioni rilevate.
Recupero crediti
Recupero credito stragiudiziale:
- Verifica della documentazione fiscale (fatture) e legale (contratti).
- Verifica della corrispondenza intercorsa e di eventuali lettere di sollecito inviate direttamente dal creditore con raccomandata a.r.
- Lettera di messa in mora da parte di un legale.
- Piano di rientro concordato con relativa dilazione e eventuale rilascio di effetti a garanzia o transazione.
Recupero credito giudiziale:
- Tempi e costi della procedura giudiziaria
- Diritto applicabile
- Foro competente
- Arbitrato
Provvedimenti provvisori e cautelari
Articolo 31 del Regolamento 44/2001/CE:
“I provvedimenti provvisori o cautelari previsti dalla legge di uno Stato membro possono essere richiesti al Giudice di detto Stato anche se, in forza del presente regolamento, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al Giudice di un altro Stato membro.”
Competenza concorrente con quella ordinaria nel merito.
Ricorso per decreto ingiuntivo
Il ricorso per decreto ingiuntivo è una richiesta che presenta, tramite ausilio di un legale, chi è creditore di una somma di denaro, di cose fungibili o chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile.
Affinché il ricorso venga accolto è essenziale che del diritto che si fa valere venga fornita prova scritta.
Nel caso che il diritto derivi da una controprestazione o da una condizione è indispensabile offrire elementi che facciano presupporre il compimento della controprestazione o l’avveramento della condizione.
Giudice competente:
La competenza viene determinata in base alle norme vigenti di procedura civile per cui è competente il Giudice di Pace o il Tribunale che sarebbe competente per l’azione ordinaria.
Accoglimento della domanda:
Il Giudice competente, se sussistono le condizioni, emette un decreto motivato entro 30 giorni dal deposito del ricorso ingiungendo alla parte resistente di pagare la somma o di consegnare la cosa o la quantità di cose chieste o la somma ad esse equivalente nel termine di 40 giorni con l’espressa avvertenza che nello stesso termine potrà essere presentata opposizione e che in assenza di opposizione, da proporre con atto di citazione in base alle regole del procedimento ordinario, si procederà ad esecuzione forzata. Il decreto deve essere notificato congiuntamente al ricorso alla parte resistente.
Prove scritte:
Le polizze, le promesse unilaterali per scrittura privata, i telegrammi sono considerate prove scritte.
Nel caso di crediti riguardanti somministrazioni di merci e denaro o prestazioni di servizi effettuate nell’ambito di un’attività imprenditoriale sono inoltre considerate prove scritte gli estratti autentici delle scritture contabili ex art. 2214 Codice Civile che siano state bollate, vidimate e regolarmente tenute, ed anche gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle normative fiscali.
Azione ordinaria
- Si intraprende con atto di citazione presso il Giudice competente ed iscrizione della causa al ruolo del relativo Tribunale, ai sensi delle disposizioni di procedura civile applicabili.
- Richiede l’assistenza di un legale del luogo.
- I tempi occorrenti sono generalmente lunghi.
Ingiunzione di pagamento europea
A partire dal 12 dicembre 2008, i creditori hanno la possibilità di disporre di un nuovo strumento per tentare di conseguire il pagamento dei propri crediti vantati nei confronti di altri soggetti residenti o domiciliati all’interno della UE: si tratta del Regolamento n. 1896/2006.
Caratteristiche:
In base al Regolamento applicabile l’individuazione del Giudice competente segue i criteri del Regolamento CE 44/2001 sulla competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale.
Redazione online di un modello ad hoc, compilato in una delle lingue autorizzate nello Stato innanzi la cui autorità giurisdizionale viene presentata la domanda.
Giurisdizione e Domanda:
Niente di nuovo deriva dal Regolamento. La competenza giurisdizionale è difatti stabilita in conformità alle norme di diritto comunitario attuabili in materia, più precisamente il Regolamento (CE) n. 44/2001. La domanda d’ingiunzione di pagamento europea è presentabile mediante utilizzazione del modulo standard A allegato al Regolamento. La stessa presenta un contenuto tipico.
Esame della domanda:
Il Giudice verifica l’attendibilità della domanda e la ricorrenza dei requisiti previsti dal Regolamento e provvede alla emissione nel più breve tempo possibile, di regola entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, un’ingiunzione di pagamento europea impiegando il modulo standard E allegato al Regolamento.
Opposizione:
Il convenuto può proporre opposizione all’ingiunzione di pagamento europea davanti al giudice d’origine utilizzando il modulo previsto. Il termine per l’inoltro dell’opposizione è di 30 giorni che decorrono dal momento nel quale l’ingiunzione è stata notificata al convenuto. Nell’opposizione il convenuto dichiara che contesta il credito, senza essere obbligato a evidenziarne le ragioni.
Il procedimento continua davanti ai giudici competenti dello Stato membro d’origine.
Mancata opposizione:
Se al Giudice di origine non è stata proposta opposizione entro il termine, tenuto conto di un periodo di tempo opportuno affinché la domanda di opposizione giunga a destinazione, il Giudice d’origine dichiara l’esecutività dell’ingiunzione di pagamento europea riscontrando la data della notifica. L’ingiunzione di pagamento europea divenuta esecutiva nello Stato membro d’origine è riconosciuta ed eseguita negli altri Stati membri senza che sia indispensabile una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile contrapporsi al suo riconoscimento, fatta salva l’eventualità di richiedere il riesame dell’ingiunzione in circostanze eccezionali.
Procedimento europeo per le controversie di modesta entità
A decorrere dal 1° gennaio 2009 è entrato in vigore il Regolamento n. 861/2007 che potrà essere applicato a tutte le controversie transnazionali commerciali o civili, ossia quelle in cui almeno una delle parti abbia domicilio in uno stato membro differente da quello del Giudice adito, che abbiano un valore non superiore a Euro 2.000,00 (esclusi interessi, diritti e spese).
Il giudizio ha svolgimento tramite il deposito di una serie di modelli predisposti e dei correlati documenti a fondamento delle proprie ragioni, in base alle norme processuali del paese del giudice adito.
Ai fini della massima rapidità è previsto dal regolamento che il Giudice, entro 30 giorni dal deposito della memoria di replica del resistente, possa stabilire con sentenza anche senza dover tenere udienza e cercare la conciliazione tra le parti.
Esecuzione all’estero di una disposizione giudiziaria
Il Regolamento n. 44/2001 ha reso più rapido e semplice riguardo al passato la procedura per ottenere l’attuazione delle decisioni adottate da un’autorità giurisdizionale in ambiente comunitario (delibazione o exequatur).
La parte che intende attuare una sentenza resa in un ordinamento estero si indirizzerà all’autorità competente nel cui distretto è ubicato il domicilio della parte contro la quale viene chiesta l’esecuzione o deve avvenire l’esecuzione medesima.
La procedura ha solitamente natura di volontaria giurisdizione.
Delibazione o Exequatur:
La prima fase del procedimento si svolge “inaudita altera parte”, così come previsto dall’articolo 41 del Regolamento n. 44/2001 ed il Giudice è chiamato ad eseguire un riscontro puramente formale (questa espressione latina indica i casi in cui il Giudice provvede sulla base della semplice richiesta della parte, debitamente documentata, senza che la controparte possa intervenire, se non in un momento successivo e solo eventuale).
Il provvedimento, comunicato alla parte ricorrente, dovrà essere notificato alla parte contro la quale è chiesta l’esecuzione.
Dal momento della notificazione deve decorrere il termine di 1 mese (2 mesi se la notifica viene eseguita all’estero) previsto dall’articolo 43 per la contestazione: ognuna delle parti può, difatti, presentare ricorso avverso la decisione.
Il ricorso introduce uno stadio eventuale del procedimento, che si tiene in contraddittorio tra le parti. Contro la sentenza che pronuncia sul ricorso è ammissibile un successivo ricorso avanti il potere giurisdizionale superiore.
Titolo esecutivo europeo
Il Regolamento n. 805/2004/CE, entrato in vigore il 21 gennaio 2005, ed applicabile dal 21 ottobre 2005 contiene la disciplina del così chiamato titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, che permette di procedere all’esecuzione forzata nel regolamento dello Stato membro dell’esecuzione senza esigenza di procedure intermedie di individuazione ed esecuzione.
La disposizione giudiziaria attestata come titolo esecutivo europeo viene affermata ed effettuata in base alle norme previste dallo Stato membro dell’esecuzione, senza che sia indispensabile una dichiarazione di esecutività e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento.
L’applicazione del Regolamento concerne i crediti non contestati posteriori al 21 gennaio 2005.
Il credito non contestato:
Ai fini della certificazione come titolo esecutivo europeo, il credito viene considerato non contestato se:
- il debitore l’ha esplicitamente dichiarato tramite una dichiarazione o tramite una transazione ratificata dal giudice o definita davanti al giudice nel corso di una procedura giudiziaria; o
- il debitore non l’ha mai impugnato nel corso della procedura giudiziaria, in conformità dei relativi procedimenti giudiziari previsti dalla legislazione dello Stato membro di origine; o
- il debitore non si è presentato o non si è fatto rappresentare in un’udienza riguardante un determinato credito pur avendo impugnato originariamente il credito stesso nel corso della procedura, sempre che tale condotta equivalga ad un riconoscimento tacito del credito o dei fatti esibiti dal creditore in base alla legislazione dello Stato membro d’origine; o
- il debitore l’ha esplicitamente riconosciuto in un atto pubblico.
Certificazione del titolo esecutivo europeo:
Una disposizione giudiziaria relativa ad un credito non confutato enunciata in uno Stato membro è certificata, su richiesta inoltrata al giudice di origine, come titolo esecutivo europeo se:
- la disposizione è esecutiva nello Stato membro d’origine; e
- la disposizione non è in conflitto con le norme in materia di competenza giurisdizionale in materia di assicurazioni e di competenza esclusiva; e
- la procedura giudiziaria svoltasi nello Stato membro d’origine è conforme ai requisiti minimi previsti dal Regolamento, in riferimento alla notifica al debitore ed alle indicazioni fornite a quest’ultimo, e
- la disposizione giudiziaria è enunciata nello Stato membro del domicilio del debitore, nel momento in cui un credito sia valutato non contestato e il debitore sia il consumatore.
Procedure di insolvenza
In ambiente comunitario, il 31 maggio 2002 è entrato in vigore il Regolamento CE 1346/2000 portante la nuova materia delle normative di insolvenza, che verrà applicato in tutti i Paesi dell’Unione Europea ad esclusione della Danimarca.
Il Regolamento, come tale subito precettivo, riguarda tutte i procedimenti di insolvenza apertesi dopo il 31 maggio 2002, chiunque sia il debitore, persona fisica o giuridica, sempre che il centro degli interessi principali di quest’ultimo si trovi all’interno della Comunità europea.
Allegati al Regolamento CE 1346/2000
- Ø Gli allegati del Regolamento n. 1346/2000 enumerano i procedimenti di insolvenza considerati dagli Stati membri (allegato A), i procedimenti di liquidazione (allegato B) e i curatori (allegato C).
- Ø Nel corso degli ultimi anni gli allegati A, B e C sono stati variati a seguito dell’ampliamento della UE ed anche in conseguenza delle modificazioni legislative interne degli Stati Membri. In particolare il Regolamento CE 681/2007 ha variato gli allegati sopra indicati con relazione anche all’Italia.
Insinuazione al passivo
La legge da applicare al fallimento ed alle altre procedure concorsuali è quella dell’ordinamento in cui il soggetto insolvente ha la propria sede legale ovvero svolge la parte prevalente della propria attività. Pertanto, come prima cosa, si deve procedere a stabilire, con l’assistenza di un esperto, il tipo di procedura concorsuale apertasi all’estero. Va anche sottolineata l’importanza della corretta stesura e presentazione dell’istanza di insinuazione al passivo. L’immediato beneficio che ne consegue è la messa a perdita del credito.
Messa a perdita del credito:
È possibile porre a perdita un credito che si presenta non più recuperabile quando esistono elementi certi e precisi che consentono la deduzione delle perdite su crediti nella determinazione del reddito d’impresa. Le perdite diventano in quel momento definitive, restando escluso ogni elemento presuntivo e valutativo.
Il creditore deve aver eseguito come minimo un tentativo di recupero stragiudiziale.
I crediti sono in ogni caso deducibili quando il debitore venga assoggettato a procedure concorsuali.
L’articolo 66 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) prevede e regolamenta la deducibilità delle perdite su crediti nella determinazione del reddito di impresa.
Dichiarazione di un legale:
Oltre, ovviamente, a tutti i documenti del caso, è opportuno poter comprovare la messa a perdita con la dichiarazione da parte di un legale, eventualmente, se possibile, del Paese del debitore estero.
Credito verso debitore estero
Il TUIR non fa diversificazione fra debitori residenti in Italia e debitori esteri, comunque, nella Circolare n. 39 del 10 maggio 2002, l’Agenzia delle Entrate specifica che in presenza di crediti vantati nei confronti di debitori residenti all’estero, in modo particolare se extracomunitari, è essenziale stabilire accuratamente gli elementi certi e precisi in funzione dei quali può essere ammessa la deduzione delle perdite dal reddito di impresa.