Champagne e metodo classico in terra di Abruzzo
Scritto da Jenny Gomez | Pubblicato in spumanti
Quando si parla di Champagne – da scrivere rigorosamente con la “c” maiuscola (la forma in questo caso è sostanza), perché si fa riferimento a un marchio legato a una denominazione che, a sua volta, coincide con il nome della famosa regione vitivinicola francese – fare paragoni con altri spumanti ottenuti secondo il metodo classico sembra quasi un affronto. Ma è possibile andare oltre la visione della “competizione” sterile soffermandosi sulle affinità e differenze, com’è accaduto nell’azienda agricola Marchesi de’ Cordano di Loreto Aprutino (Pe) durante un incontro organizzato dal Centro Tecnico Enologico di Pescara in collaborazione con l’Isvea (Istituto per lo sviluppo viticolo enologico ed agronomico) di Poggibonsi, rappresentato per l’occasione da Giuliano Boni. A confronto 3 Champagne, raccontati dal brillante enologo e consulente Christophe Gerland, e 3 spumanti abruzzesi metodo classico, scelti e concepiti dall’enologo Vittorio Festa. Degustazione condotta dal giornalista Alessandro Bocchetti (Gambero Rosso). Per la Francia Janisson & Fils, bianchi e rosé, di Verzenay-Reims. Per l’Abruzzo, il “36” Doc Abruzzo, spumante beverino dal gusto salmastro, prodotto con uve cococciola, passerina e pecorino, cantina cooperativa Eredi Legonziano di Lanciano; l’”Autentico” della cantina vastese Jasci e Marchesani, chardonnay e pecorino biologici – pas dosé, immediato e invitante con le sue note agrumate, netto e fresco in bocca – e il Santagiusta brut, dal profilo organolettico decisamente simile allo Champagne. Burroso, minerale, con profumi di mela e fieno. Spumantizzato da Marchesi de’ Cordano e ottenuto da uve pinot nero e chardonnay di alta quota. I vigneti che danno vita a questa cuvée sono impiantati a quasi 700 m.s.l.m., presso l’azienda Vigna di More condotta da Adriana Tronca, ubicata a Goriano Valli (Aq), nel cuore del parco Velino Sirente. Adriana, andando controcorrente, ha avuto l’intuizione di impiantare varietà alloctone, giacché quell’area dell’Aquilano ha somiglianze pedoclimatiche con la Franciacorta, zona dove la Tronca ha vissuto prima di trasferirsi in Abruzzo.
I Janisson & Fils proposti da Cristhope Gerland, come atteso, hanno svelato tutta l’identità territoriale che rimanda a Reims. Il limo e gesso su cui crescono il pinot noir, pinot meunier e lo chardonnay si traducono in complessità olfattiva e gustativa, molto evidenti nel Grand Cru 2006 millesimato. Champagne dal bouquet che apre con marcata fragranza di brioche, seguita da note floreali, pistacchio e chiusura di nocciola. Sorso leggermente speziato, sapido, persistente e vellutato.
“Questo evento non è nato come una sfida, ma come confronto sereno – ha sottolineato Vittorio Festa – è un’occasione per constatare le potenzialità dello spumante abruzzese e dimostrare che esistono sbocchi produttivi nuovi”. A tal proposito, ha osservato Alessandro Bocchetti , “Vero è che per troppo tempo lo spumante abruzzese è finito in Franciacorta ed è giusto che finalmente stia facendo la sua strada.
La scommessa sulle bollicine italiane è quella di difendere la tipicità, partendo dalle uve autoctone, insistendo sulla fermentazione spontanea e sui marcatori di territorio”. Per il giornalista Antonio Paolini, presente in sala, “Il vino deve essere festa e non un “problema. È giusto che si facciano bollicine in Abruzzo, ma attenzione a non mettersi nello stesso “campionato” di altri che, per tradizione, esperienza e territori, hanno un’altra storia.
Ognuno deve correre per la sua specialità; consapevoli che la tradizione non deve essere una croce, altrimenti la storia agricola abruzzese sarebbe stata destinata a cereali e verdura.
L’innovazione per andare avanti rappresenta oggi la possibilità di fare qualcosa di diverso”.
Tuttavia, “Malgrado questa stretta aderenza al territorio – ha concluso Vittorio Festa – parlare di made in Italy nella filiera non è sempre facile per i produttori, soggetti ad una burocrazia in alcuni casi inutile, che non giova né alla qualità del prodotto né al consumatore finale. Dobbiamo liberare il vino da cavilli e farlo parlare la sua lingua”.