Saracena: dove il passato insegna
Scritto da Maddalena Nuzzi | Pubblicato in Calabria
Prepotente natura, storia che diventa leggenda, una tradizione che governa e un Moscato Passito ad alzare il sipario su un vero e proprio spettacolo.
Un pezzo di Calabria e la bellezza espressa dal territorio, una vasta area montana all’interno del Parco Nazionale del Pollino, dominata da boschi di faggio, di pini neri e pini loricati; percorsi virtuosi da respirare a pieni polmoni a contatto con una natura predominante, grazie anche alla scarsa urbanizzazione e all’integrità ambientale, dove è facile incontrare aquile, gufi reali, caprioli e lupi che qui vivono indisturbati. Tanti i pianori (tratti pianeggianti): Novacco, Scifarello, Masistro solo per citarne qualcuno, su una montagna da godere tutto l’anno praticando walking, trekking, orienteering, equitazione e sci di fondo. Stiamo parlando di Saracena, una lady con più di 4000 anni di storia. All’inizio c’era Sextio fondata dagli Enotri, conquistata dai Saraceni intorno al 900 d.C., ma la nascita dell’attuale borgo è avvolto nella più nostalgica delle leggende: una manciata di esuli scampati all’attacco dell’esercito imperiale di Costantinopoli, con a capo una donna scarmigliata e coperta solo da un lenzuolo che andrà a fondare la nuova città. Un centro storico di impianto islamico, un gruzzolo di case all’interno di una vera e propria kasbah con il “quartiere delle armi” a fulcro di un borgo estremamente variegato nella sua architettura. Tanti vutanti (archi) a sorreggere le case, slarghi, scale sospese e un sottosuolo ricco di grotte, alcune accessibili dai bassi delle stesse abitazioni. Tutto questo ha resistito all’inesorabile scorrere del tempo a differenza del Castello edificato a cavallo del fiume Garga e delle costruzioni di epoca medievale riconoscibili in pochi ruderi, tra cui le quattro porte: dello Scarano, del Vaglio, di San Pietro e Porta Nuova. Tra le chiese principali, la Chiesa di San Leone patrono di Saracena, festeggiato due volte l’anno, con una festa matrimonio tra sacro e profano, arrivata immutata sino ai giorni nostri con processione, pane benedetto e fucarazzi (falò) ad illuminare le vie sino al mattino seguente.
Ma Saracena non è solo una natura importante. E’ soprattutto Moscato Passito, un prodotto che non si è inchinato al fenomeno della globalizzazione e riportato sul podio dell’enologia italiana da pochi e coraggiosi vignaioli: un vino dallo stile tutto personale, aggrappato alla memoria delle case, all’interno delle quali la sua ricetta viene custodita, un’eccellenza governata e supportata dalla tradizione e da cinque secoli di storia. E’ stato il nettare prediletto dai papi e già nel Cinquecento sostava nelle cantine pontificie. Questa elegante bevanda, risultato di un lento e accurato procedimento, impiega chicchi autoctoni di “moscatello di Saracena”, appassiti all’ombra, selezionati uno ad uno e dolcemente schiacciati da mani femminili; il tutto per arricchire un mosto cotto di uve di Guarnaccia, Malvasia e Odoacra, dando così il via ad un tripudio di sensazioni degne di celebrazione. Una perla per palati raffinati, un prezioso scrigno che, aprendosi dolcemente, svela calde nuances ambrate e profumi da suk arabo, da capace istrione rapisce ma conforta. Gustato da solo per rivivere atmosfere da mille e una notte, o per ingentilire formaggi stagionati e per accompagnare dolci della tradizione : zuccariddri, cuddrure, e cannaricoli, questi ultimi con il moscato nella preparazione, per alzare degnamente il sipario su un vero e proprio spettacolo.
Vietato pensare che nell’antica Sextio si riceva con soli tarallucci e vino; le porte delle case si aprono facilmente per raccontare la tradizione culinaria tramandata di madre in figlia. Esperte mani saracenare ancor oggi plasmano, con l’ausilio di un ferro, un semplice impasto di acqua e farina per realizzare i “firrizzùli”, maccheroni al ferro conditi poi con salsa di pomodoro, polpette e involtini di cotica di maiale. Inoltre, minestre di verdure e di legumi insaporite da eccellente extravergine di oliva ottenuto da ottime varietà locali come la vrece o la turchhjinedda, tanto buono da far riconoscere Saracena come “Città dell’Olio”. Tra i piatti tipici le capiceddre (le famose testine di agnello ripiene al forno), le vintrishche (ventresche di stoccafisso) o ancora le mazzacorde (involtini di interiora). Immancabili i formaggi, i salumi e i sott’oli, tutti rigorosamente fatti in casa per imbandire le tavole ed accogliere coloro che, dopo aver speso le proprie energie all’aria aperta, vorranno accomodarsi gustando un intero territorio sempre in continuo movimento, orgogliosamente comunicato anche attraverso i piatti di giovani chef, come Gennaro Di Pace, il quale abbinando l’innovazione alla tradizione, porta quest’ultima e, con essa Saracena a spasso per il mondo.
Foto di Gabriele Tolisano (All Rights Reserved) www.gabrieletolisano.com
Links utili:
Comune di Saracena: https://saracena.asmenet.it/
Leggendo questo fantastico articolo mi è venuta voglia di assagiarlo. Brava
Ottimo articolo… 🙂