I mille volti dei Campi Flegrei

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Un viaggio per lasciarsi sorprendere dalla bellezza dei Campi Flegrei e dai suoi mille scenari, tutti diversi ma ugualmente emozionanti, immersi tra vigneti che si specchiano nella Baia e vini che sanno di mare e di storia.

A nord ovest di Napoli, la Natura si tinge di rosso e di azzurro. L’acqua e il fuoco si uniscono e si mescolano a capolavori di antiche civiltà e rovine sommerse. È un sodalizio collaudato e ostinato, quello tra i vulcani e queste terre, i “campi di fuoco”, dove calde acque e bradisismo hanno cullato secoli e secoli di storia.

“La regione più meravigliosa al mondo, sotto il cielo più puro e il terreno più infido” scriveva nel 1787 Goethe; prima di lui, il poeta Virgilio poneva la porta degli Inferi sulle cupe acque del lago d’Averno mentre nel mito greco sono queste le terre dove giganti e divinità si scontrarono fino a far tremare il suolo, il ventre della Terra, facendogli sputare fuoco, zolfo e lapilli. La fama “vulcanica” dei Campi Flegrei ha attraversato l’immaginazione di scrittori e viaggiatori, narrato di miti e leggende, prima greche e poi romane a testimonianza della bellezza e dell’arte di una zona che non si piega al potere delle forze distruttrici della natura.

Al contrario, qui il fuoco ha portato la vita, la creazione di un paesaggio dal fascino intramontabile, dai terreni fertili e ricchi di minerali, disseminati di crateri, dove il calore del sottosuolo scorre tra tradizioni e culture, paesaggi diversi ma accomunati da antiche vestigia che testimoniano il glorioso passato di uno straordinario pezzo di Mediterraneo.

I mille volti dei Campi Flegrei sono concentrati qui, tra la collina di Posillipo e Quarto, fino ad oltrepassare Cuma, con lo sguardo che si perde verso il Golfo di Pozzuoli e le isole di Procida e Ischia, talmente vicine che sembrano voler approdare sulla costa. Una grande caldera, nota sin dall’antichità per la sua attività vulcanica che ne ha modellato il paesaggio in quattro momenti diversi, portandolo alla formazione attuale, così come oggi la vediamo.

Ricca di crateri in gran parte inattivi, come il Cratere Astroni, splendida riserva di caccia dei Borboni, l’area è zona di altissimo valore biologico e naturale: nessuno si aspetterebbe, ad esempio, che il monte più giovane d’Europa, il Monte Nuovo, sia nato qui, il 6 ottobre 1538, a seguito di un’eruzione che distrusse completamente l’abitato di Tripergole. Si trova presso il Lago Lucrino ed è ora un’oasi naturalistica aperta al pubblico. Un’anima inquieta quella dei Campi Flegrei, tra bradisismo e fumarole potenti, come la Solfatara di Pozzuoli i cui vapori raggiungono i 160°C o le numerose e calde sorgenti termali, tanto gradite agli antichi Romani: rinomate sono le Terme di Agnano mentre il Lago Lucrino, che ospitò la villa di Cicerone, conserva ancora le Stufe di Nerone, con saune e fangaie all’aperto.

Territori ricchi di storia e bellezza, di vestigia senza tempo e grandi monumenti che testimoniano il passato importante di queste terre. Tante, tantissime le aree da visitare, dall’archeologia alle città sommerse e le zone naturalistiche. Mille volti che accompagnano l’importanza di una zona sorprendente e, nonostante tutto, ancora poco battuta dal grande turismo. Tutta l’area, infatti, era luogo di villeggiatura degli antichi romani e dei loro imperatori, di patrizi e nobili, e la loro presenza ha lasciato un patrimonio archeologico unico e spettacolare, importante solo dopo quello della Capitale. Partendo da Pozzuoli, antico porto di Roma, una delle poche città al mondo a vantare ben due anfiteatri.

Un museo a cielo aperto dove innumerevoli sono i resti di un glorioso passato: dal famoso Macellum (mercato) meglio conosciuto Tempio di Serapide e noto per essere il termometro del fenomeno locale del bradisismo, al Tempio di Augusto, con ampie necropoli ed edifici termali. Sempre su queste coste, i greci fondarono Cuma, l’antica Kyme, la colonia più antica della Magna Grecia, i cui resti sono visibili nell’Acropoli che affaccia su un panorama spettacolare. Scavi recenti hanno messo alla luce una necropoli con mausolei e templi, persino un anfiteatro; l’Antro della Sibilla rimane ancora il sito turistico più visitato, nonostante sia stato ampiamente dimostrato che sia in realtà parte di una cintura difensiva. E poi il clima e la bellezza di Baia, le cui sorgenti termali attirarono l’aristocrazia romana che qui fece erigere ville lussuose ed importanti. Parte dell’antica città è sommersa dal mare a causa del bradisismo ma molte delle opere scultoree sono conservate nel Castello Aragonese, sede del museo archeologico dei Campi Flegrei.

La bellezza dei Campi Flegrei che non si piegano al fenomeno del bradisismo e che guardano alla rinascita di una nuova viticoltura. Una DOC giovane, riconosciuta nel 1994 e che fino ad allora non ha avuto precisi riferimenti enologici e produttivi, creando deviazioni e confusioni intorno a quelli che sono i vitigni principi dell’area: Falanghina e Piedirosso. Da qui la costituzione dell’attivissimo Consorzio di Tutela dei Campi Flegrei, Ischia e Capri che, nelle parole del suo Presidente, Gerardo Vernazzaro, mira alla cooperazione tra le 22 cantine aderenti e la comunicazione di peculiarità uniche della DOC: “Cercare di portare avanti un concetto in mezzo ad un mare magnum di confusione intorno ai nostri due vitigni” e afferma “Quando beviamo un Campi Flegrei non stiamo bevendo solo una Falanghina o un Piedirosso ma stiamo bevendo 2000 anni di storia viticola, stiamo bevendo un piede franco, stiamo bevendo l’archeologia viticola”. Tutto vero. Qui, tra una vigna e l’altra si respira la storia, i vigneti si intersecano con la natura rigogliosa di crateri come l’Astroni, si specchiano nel Lago D’Averno citato da Virgilio e convivono con la magia degli scavi di Cuma.

L’importanza del territorio sta anche nel comunicare tutto questo, in un bicchiere di vino. Piccole, grandi vigne quelle flegree, un “sorso” di 100 ettari in gran parte innestati a piede franco, piccoli pezzi di una grande parcellizzazione dove un vigneto medio è di appena un ettaro e mezzo. Dove i terreni odorano di zolfo e di mare, ricchi in potassio e poveri di magnesio, con ceneri, lapilli e pomici che favoriscono una bellissima diversificazione produttiva tra le aziende.

I mille volti dei Campi Flegrei sono anche le mille anime di questi due vitigni antichi, così diversi ma che appartengono a quei stessi vigneti che disegnano il territorio e che fanno da cerniera tra il mare, i parchi naturali e l’entroterra. Un territorio così ricco e così frammentato, le cui brezze marine e il clima favorevole accarezzano i grappoli spargoli e vigorosi di Falanghina e Piedirosso, vini dalla lunga sapidità e dalla mineralità avvolgente, che non aspettano altro che tornare ad essere un punto di riferimento nel panorama vitivinicolo, grazie alla generosa qualità e fertilità dei terreni. “Vogliamo condurvi per mano attraverso i territori, disegnando rotte‬, guardandoli con gli occhi di chi alleva la vite” questa è la mission del Consorzio, questi i mille volti dei campi Flegrei, da scoprire e soprattutto, da gustare.‬

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