Rosa del Golfo: degustazione da applausi

Scritto da | Pubblicato in degustazioni Rosa del Golfo: degustazione da applausi

Lecce. Hotel Tiziano. Sera del 27 ottobre 2016. Salone delle degustazioni. Strapieno. In prima fila “i magnifici sette” nei quali, inopinatamente, sono compreso.

L’ingresso vede schierati nelle loro divise impeccabili Le Sommelier e I Sommelier (scusate ma io sommelière non lo scrivo che questa declinazione femminile di ogni parola la trovo molto di cattivo gusto se fatta “in ogni caso”).  

La Direttrice, la Professoressa o la Dottoressa la accetto, ma la Capitana o Capitanessa, la Sindaca o Sindachessa, la Capostazionessa o Capastaziona mi sembrano proprio una cialtronata.
Chieste le scuse dovute per l’incidentale fuori tema torniamo all’ingresso salutando la schiera, in particolare Titti e Daniela per antica conoscenza.

Troneggiano sul Palco Aldo e Fabrizio, delegati dall’AIS a guidar la serata, e Angelo, storico enologo di Rosa del Golfo, antica casa vinicola di Alezio che, ad oggi poggia sulle braccia dei Fratelli Calò.

Damiano, dall’alto della sua altezza e dall’ampio della sua ampiezza, è li, milanese del Salento, a raccontare la Storia di una cantina che ha fatto storia.

Epigoni del rosato quando quella parola era più legata al calcio che al bicchiere, i pionieri della casa aletina hanno mantenuto inscisso il legame tra innovazione e tradizione.

Non è difficile, in fondo, basta volerlo. Molti dimenticano che tradizione è una innovazione di successo e confondono l’innovazione con l’emulazione.

A casa Calò non è stato così, qui le personalità sono forti e le etichette solide. Alla Rosa del Golfo non si segue la moda. Si prova a crearla.

Ed eccoci, assisi ordinatamente, alla degustazione.

Spumante Brut Rosa del Golfo. Uno dei primi spumanti con metodo classico che ha impiegato il negroamaro per le bollicine. Bollicine insite nei Calò, brianzoli di Alezio. Furono distributori di Champagne di cosiddette “petite maison” che erano e restano l’ossatura della pétite e grand champagne. Colore rosa carico, luminoso, perlage sottile e persistente e profumi complessi nei quali il pane prevale su una tessitura di fruttato fresco. In bocca agilissimo e sinuoso, pervade ogni anfratto del cavo orale lasciando una sensazione fresca e profumata. Una nota amarognola nel retronasale rammenta al distratto che ha bevuto negroamaro. La “carbonazione” non è eccessiva e rende il Rosa del Golfo Spumante un eccellente compagno del rustico leccese.

Rosa del Golfo fermo. Anche qui negroamaro e malvasia per un colore bello da rosato del Salento, deciso e pulito. Il naso è bello, frutta e fiori e la beva semplicissima, di grande impatto gustolfattivo. Armonia, eleganza e un tantino di ruffianità ma senza eccedere nell’affettato. Da bere a tavola in riva al mare, con il brodetto di gallinella che condisce dei ditalini.

Vigna Mazzì 2015. Rosato, del Salento. Colore splendente, il naso e il gusto presentano ancora un po’ troppi sentori di legno, tra l’altro pregiato, un infante. Consumarlo adesso è un atto truce, ma si porta dietro carattere e ottime prospettive. Lasciarlo evolvere. Tra l’altro non è ancora in commercio.

Vigna Mazzì 2013. Rosato del Salento. Con questo vino si possono fare moltissime cosa, ma la prima, in assoluto, è, almeno virtualmente, inchinarsi. Al Salento, al Negroamaro e alla sapienza di chi sa stare in campagna e in cantina. Non v’è descrizione esauriente: bisogna assaggiarlo. Abbinamenti? Sa reggersi da solo, ma lo spettro è amplissimo, capace di impreziosire un sacchetto di patatine di pessima qualità e di accompagnare il fegato di rana pescatrice alla Gallipolina. Secondo chi scrive è il compagno ideale dei lampascioni soffritti.

Portulano 2013. Rosso. Rubino. Trasparente. Naso di frutti rossi maturi e note speziate. In bocca conferma tutto, anche la bibilità e l’eleganza. Ottimo blending di negroamaro e malvasia anche se la tessitura tannica e la forza alcolica sono molto levigate. Si ammoglia con le polpette al sugo.

Quarantale 2010. Rosso. Rubino. Intenso. Complessità olfattiva di amplissimo spettro. Le ovvie note di frutta matura e di spezie da legno grande, ma anche un tenue ma percettibile seducente profumo di viola. Al palato una perfezione geometrica, blending di quattro grandi bacche rosse (negroamaro, aglianico, malvasia e primitivo) nelle quali ciascuno ha portato qualcosa di suo e la stechiometrica composizione regala un grandissimo vino di nomenclatura internazionale. Esercizio difficile ottenere il Quarantale senza l’uso di vitigni internazionali, per questo è poco e per questo è prezioso. Da non consumare a pasto, magari con dei pezzettini di formaggio stagionato con su qualche filo di miele di castagno o di cardo.
Poi alla fine la cascata di luce.

Portulano 1990. Più di un quarto di secolo in una bottiglia che ci ha raccontato come eravamo e cosa era la bellezza in quegli anni, ovvio che chi, in quegli anni, era bello o tale si sentiva ha percepito emozioni da subbuglio dell’anima. Però anche adesso, con i suoi capelli brizzolati, qualche ruga, qualche cicatrice e l’incedere meno ratto, ha qualcosa da dire. Magari con un bel bocconotto o dei mostaccioli.

Da noi si è chiuso con degli eccellenti appetizer de Le Macàre e con gli applausi a tutti.

In particolare a chi ha saputo servire impeccabilmente e a temprerature indiscutibilmente precise ogni bottiglia. Il fresco del Portulano 2013 era voluto e deciso, anche in forma provocatoria.
Ai fratelli Calò la richiesta di continuare ad essere, magari si hanno meno soldi, ma la storia è una cosa seria. E non si compra.

Tag

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *