Facciamo un talent show sul Vino, tipo Master Chef?

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Ma perché non facciamo un talent show sul vino, tipo Master Chef? E già! In quanti lo hanno pensato, molti hanno provato persino a proporlo ma nessuno si è preso il mal di pancia di realizzarlo. E perché? Le risposte di solito sono state le più banali: troppo complicato, troppo costoso, se nessuno lo ha mai fatto ci sarà un perché.

In realtà le cose non stanno proprio così. Nel 2008 la PBS, network pubblico statunitense, ha lanciato “The Winemakers”, 12 vignaioli si scontrano all’ultimo bicchiere con l’obiettivo di lanciare una nuova etichetta sul mercato.  Due stagioni e poi il nulla.

E in Italia come lo vogliamo raccontare questo vino?  A gennaio viene annunciato ufficiosamente il format “Un ottima annata” (la fantasia al potere). Mediaset dovrebbe girare 8 puntate in 8 cantine dove i concorrenti si sfidano in tre prove. Ad oggi si sono perse le tracce. La Rai rilancia con “I Signori del Vino”.

Va bene, ma le storie dove sono?

Si perché io che di mestiere faccio il filmmaker e vivo tra Langhe e Roero ho sotto il naso tutti i giorni storie incredibili di vignaioli e di terra. E il mio mestiere è proprio quello di raccontare queste storie. E oggi, il miglior modo per fare marketing del vino, è lo storytelling (questo sconosciuto).

Però per poter fare questo, per raccontare attraverso il video, bisogna avere la complicità del territorio, perchè non si tratta di narrare le vicende di una bevanda alcolica qualsiasi, ma quelle di un popolo intero e del suo lavoro, è questo il meccanismo che affascina il winelover, italiano ma soprattutto estero.

Il mercato, specie per i piccoli produttori, è difficile, tortuoso, complicato. Il marketing è ignorato o ridotto a spesa superflua e di esempi negativi ce ne sono a iosa. “Facciamo del Nizza il Barolo del Barbera”, tre nomi di vino per definirne uno?  Chissà se ad Oslo l’hanno capita. Ancora, mettiamo in etichetta “Roero, ottenuto da uve Nebbiolo”, così sicuramente in Cina avranno le idee più chiare su cos’è il Roero e ne compreranno vagonate.

Vogliamo parlare della prova di rilancio del Dolcetto d’Alba? Problema: serve un’azione per rilanciare sul mercato il Dolcetto d’Alba, soluzione: chiamo Carlo Cracco in un evento, risultato: tanta gente per Carlo Cracco…e il Dolcetto? Ah perché si parlava di Dolcetto?!

Ora, la questione su come fare marketing del vino è alquanto complicata e sicuramente non c’è una soluzione univoca per tutti. Ma è proprio questo il bello del vino. Ogni produttore fa un Barolo, un Morellino, un Fiano diverso dal suo vicino di casa e lo stesso produttore fa il suo vino diverso ogni anno. Ma bisogna che i vignaioli comprendano che i territori vitivinicoli (ex) emergenti (California, Cile, Australia, ecc) oggi producono ottime cose e spendono parecchio denaro per uscire bene in questo mercato.

Il produttore italiano oggi non può più limitarsi a fare fiere, degustazioni, qualche brochure, un sito approssimativo. Il valore aggiunto che il produttore italiano ha e che deve vendere, rispetto ad un neozelandese o un sudafricano,  è la sua storia, unica ed irripetibile.

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