Barolo parte VI
Scritto da Filippo Lanzone | Pubblicato in storia
Ebbri delle essenze e degli effluvi dei vini di Barolo, scendiamo a valle, agilmente trasportati dai dolci pendii e dal richiamo di altrettanto grandi e prestigiose nomee enologiche: ci dirigiamo verso Castiglione Falletto. In questo ameno borgo, che porta in sè il nome della famiglia che, come già abbiamo visto, diede i natali al Re dei Vini, si annidano alcune delle massime espressioni dell’enologia italiana, non solo barolista.
Chi non conosce Ceretto? I più lo ricollegheranno, forse, al Blangé, bella etichetta che ha sdoganato l’Arneis da vino di nicchia a gustosa e nota appellazione del vitigno Arneis. Il merito più grande di questa grande casata però, a nostro avviso, risiede in tre etichette fondamentali per il Barolo: il Bricco Rocche, superbo nei sentori di torrefazione, liquirizia e confetture, da tonneau; il Bricco Rocche Brunate, splendido nei suoi sentori di piccoli frutti del sottobosco e dall’accesa mineralità, sempre in legno grande; ed infine il Bricco Rocche Prapò, vigoroso nei piccoli frutti neri e nelle speziature, dal pepe alla liquirizia. Una grande famiglia per una grande storia di Langa: ma non è la sola.
In quel di Bricco Boschis, ha sede la tenuta Cavallotto: alfieri della tradizionale botte di rovere di Slavonia, dall’alto di presgiate vigne cinquantenarie, ci consegnano una delle massime espressioni baroliste: il Bricco Boschis Vigna S.Giuseppe Riserva. Vino, questo, che stupisce sempre, per i sentori speziati ed i tannini imponenti, austeri, e quel netto sentore di goudron che ci fa dire “un Barolo, signori”. Ma sarebbe ingiusto tralasciare altre due superbe espressioni, quali il Bricco Boschis, ed il Vignolo Riserva, con ben 48 mesi in rovere di Slavonia ad esaltarne i sentori floreali più tipici del nebbiolo: violetta e rosa appassita.
Che dire poi dell’azienda Vietti…condotta da Luca Currado, la cantina ha sede in centro paese, e con un Rocche ed un Lazzarito da primato, il primo suadente sulle note erbacee di fieno ed erbe aromatiche, il secondo austero nei tannini e nella persistenza, si piazza fra i grandissimi di Langa. Da ricordare, poi, il Brunate ed il Castiglione, a completare una gamma di pregio siderale.
Sembrerebbe ridondante, eppure in questo borgo, raccolto attorno al castello dei Falletti, sede della cantina comunale, ha sede un’altro autentico fuoriclasse langhetto: l’azienda Giuseppe Mascarello e figlio. Nel solco della più autentica tradizione barolista, con le lunghe macerazioni e le soste nelle grandi botte di rovere, e sotto la guida di un “guru” come Donato Lanati, i Mascarello ci consegnano due etichette mitiche, come il Villero ed il Monprivato, di una freschezza, eleganza e finezza ragguardevoli. In annate particolarmente fortunate, però, l’alfiere della casa diviene il Monprivato Cà d’Morissio Riserva, un solista che racchiude in sè tutti i pregi del Barolo: longevità, esclusività, persistenza, equilibrio e pulizia tannica, con sentori di erbe officinali, liquirizìa, foglie secche. Confesso di essermi commosso bevendo l’annata 2003, ma so che mi scuserete…
Sono altrettanto certo, però, che vi emozionerete di fronte alla produzione di Paolo Scavino: una sequenza impressionante, di impostazione moderna, giocata su passaggi in barrique e botte grande con risultati di un’eleganza ed una morbidezza al di fuori da ogni preconcetto mentale. Cannubi, Carobric, Monvigliero: etichette di un nitore preciso e ricco, che però lasciano il passo quando si passa al Bric del Fiasc, esemplare nella maturità al palato e nell’imponente freschezza, e nel Rocche dell’Annunziata Riserva: definirne “grandiosa” l’imponente speziatura e la godibilità del frutto sarebbe alquanto riduttivo.
Una nota di merito va senza dubbio ad Azelia: l’azienda, medio-piccola di dimensioni, ha tuttavia una regolarità qualitativa con pochi eguali, con San Rocco, Bricco Fiasco e Margheria, alternati nell’utilizzo di legni grandi e piccoli, dalla grande finezza e complessità olfattiva.
Di solito, negli elenchi, i posti di rincalzo sono riservati alle seconde scelte, ma non è certo il caso dei Brovia: con un ventaglio di Barolo, dall’opulento Ca’Mia all’avvolgente Garblèt Sué, all’austero Rocche, la tradizione di Langa è esaltata ed in un caso persino galvanizzata: il Villero, forse il vino di punta in una scuderia di purosangue, viene fermentato in cemento ed affinato in botte grande, ed emerge, come un croco nelle nevi di marzo, netto, pulito: grande.
Chiudiamo questa tappa del nostro viaggio citando altre tre cantine che ci sono piaciute per tipicità e pulizia enologica: Cascina Bongiovanni, Gigi Rosso e Livia Fontana, una delle signore del vino di Langa: Villero, Bussia e soprattutto il Riserva, sono gli alfieri di quest’azienda destinata a crescere, già ora poggiando su solide basi di equilibrio e precisione tannica.
Riprendiamo la via, per le strade del Barolo, con la speranza di essere riusciti a trasmettere con le parole non un vacuo elenco di etichette ma la passione che anima l’appassionato che le conosce, le apprezza e le divulga agli altri.