Il Barolo, dunque…
Scritto da Filippo Lanzone | Pubblicato in storia
Eccoci finalmente giunti “per le strade” del Barolo, e già pare di scorgere i filari brulli sotto le sferzate dei venti invernali…prima di abbandonarci alla poesia ed alla conoscenza di alcuni produttori fra i più rappresentativi, però, dobbiamo darci delle regole.
Innanzitutto, intenderemo privilegiare chi ha fatto del Barolo la propria ragione di vita, condividendone in tutto e per tutto fortune e sventure. Pertanto, quei produttori grandi, grandissimi, come ad esempio Angelo Gaja, Roagna, Michele Chiarlo, per citarne alcuni, non troveranno posto in questo tratto di strada, ma li approfondiremo qualora il viaggio ci portasse nelle denominazioni cui hanno dedicato le proprie energie migliori, e che li hanno resi grandi, anche se per alcuni potrà sembrare ingiusto o riduttivo; nello specifico, Barbaresco per Gaja e Roagna, Barbera d’Asti per Chiarlo. Altresì, non lambiremo le cantine cooperative, difficilmente assimilabili ad una identità precisa e netta, nè quelle guidate da grossi gruppi imprenditoriali: le mode del vino passano, ma i viticoltori restano.
Fossimo in auto, dovremmo cominciare il viaggio dal basso, salendo da Alba, ma quando sono passione e fantasia a guidare i nostri passi, possiamo concederci il lusso di partire dove reputiamo più utile e corretto: e per questo, partiremo proprio dalle cantine di Barolo-paese.
Il comune che dà il nome alla denominazione è, per molti aspetti, baluardo della tradizione più ferrea, roccaforte dei cosiddetti “tradizionalisti”. Badate bene, non crediamo alle dicotomie manichee buoni/cattivi, bianco/nero, tradizionalisti/modernisti, poichè negli anni le carte si sono sovente mescolate, e molti adottano entrambi i metodi di affinamento. Ma in questo caso ci permettiamo di utilizzare questo termine, perchè negli anni della moda innovativa, alcuni personaggi, che tra poco vedremo, si ersero con vigore a paladini della cura in vigna come vera e sola origine dei grandi vini, dell’assoluta importanza della piena maturità del frutto, delle lunghe macerazioni in tini (50, 60 giorni), e non soltanto, quindi, della cara, vecchia, grande botte di rovere di Slavonia.
Certamente meritano un posto d’onore fra questi “ortodossi” della tradizione, Beppe “Citrico” Rinaldi e Sergio Barale: i loro vini rappresentano un bicchiere di autentica “Langa”, austera e piena al gusto, senza sconti nè concessioni ad influenze esterne o modaiole. Per Rinaldi, il Cannubi San Lorenzo-Ravera concede sempre ricchezze olfattive di frutta del sottobosco, mentre il Brunate Le Coste generalmente è più prodigo di speziature come noce moscata e pepe. L’alfiere di Barale è invece senza dubbio il Bussia, sempre nitido nei descrittori fruttati, persistente in bocca con un tannino veramente ben addomesticato fin da giovane: cosa assai rara e godibilissima.
Ricordiamo poi la famiglia Brezza, altra storica cantina tradizionale, che trova nel proprio Sarmassa e soprattutto nel Bricco Sarmassa due delle più belle espressioni di quelle sottozone: strutture potenti, eleganti, finezze al naso di frutti rossi maturi e lievi speziature, con una bella sapidità. E parlando di Sarmassa non possiamo dimenticare Osvaldo e Bruno Cabutto, il cui Barolo Vigna Sarmassa Riserva del Fondatore è sempre per gli intenditori un vero tuffo nel passato: pelliccia, cuoio, caffé, gusto austero e dai tannini imponenti.
Parlando di tradizione, però, è impossibile non soffermarsi sulla storica cantina di Bartolo Mascarello, da qualche anno guidata dalla figlia Maria Teresa ma sempre all’insegna della vecchia maniera di ottenere un solo vino, che sarebbe riduttivo e ingiusto definire “base”, al fine di ottenere maggiori eleganze e finezze dall’apporto di ogni singola vigna: le tipiche rose e viole, e poi speziature di noce moscata, terra bagnata e confetture, che ritroviamo analogamente nei vini della cantina Scarzello, meno noti ma dal sicuro avvenire.
Il Barolo Bricco delle Viole ha nel nome della vigna l’impronta della prestigiosa azienda Vajra: potenza ed austerità si legano alla finezza dei sentori floreali più tipici del Barolo, oltre a profumi di erbe officinali ed ovviamente composta di frutti rossi. Un vino straordinario, così come il Barolo Cannubi Boschis di Luciano Sandrone, delicato e preciso, marcatamente speziato, corposo e con il tannino ben calibrato: ma con lui abbiamo lasciato gli “ortodossi”, essendo i suoi affinamenti in tonneau, per giungere alla transizione, rappresentata da Damilano. Usando con versatilità tutti i tipi di botti, è solito concedere un fresco Cerequio, un grande Brunate con sentori di mora e cassis, ed un Cannubi armonico, che con finezza sventaglia le ciliegie sotto spirito, la liquirizia, i frutti del sottobosco ed i sentori di torrefazione. Meno prestigioso e dalla storia meno premiata, ma assolutamente non per questo meno interessante, l’altro “modernista” che vogliamo qui ricordare: l’azienda Giacomo Grimaldi, dal buon Barolo Sottocastello di Novello, sempre suadente all’olfatto e dalla decisa persistenza in bocca, ordinata e piacevole.
La strada percorsa è molta, e queste dieci cantine, pur affrontate superficialmente sui loro vini più rinomati, sono senza dubbio rappresentative, e ci auguriamo fungano da stimolo per chiunque voglia approcciarsi fin da ora al Barolo di Barolo con curiosità, interesse, e soprattutto grande rispetto: verso la storia di questo vino, che si rinnova ogni anno, e verso chi ha speso la propria vita per farlo.