Corsi e ricorsi storici: i vini del Vesuvio, il vulcano più famoso al mondo
Scritto da Chiara Giorleo | Pubblicato in territorio
Nonostante la profondità delle radici storiche – sia in termini produttivi sia commerciali come provano i ritrovamenti negli scavi più e meno noti – la produzione che ruota intorno al noto vulcano napoletano reclama un aggiornamento.
È infatti merito dell’attuale Consorzio il lavoro di riorganizzazione interna a partire dal riordino del disciplinare che considerava come sovrapponibili le due ben diverse varietà a bacca bianca Caprettone e Coda di Volpe.
Ma procediamo con ordine: siamo in Campania, nel cuore del golfo di Napoli, e visti latitudine e affaccio sul mare è facile immaginare la mediterraneità del clima; condizioni ben mitigate, però, dall’altitudine che il vulcano stesso offre. Non basta, perché a guardare bene il golfo ci accorgiamo della presenza di due rilievi: il Vesuvio e il Monte Somma. Entrambi componevano il vulcano così come conformato originariamente, ma le numerose attività vulcaniche susseguitesi nei secoli ne hanno comportato lo sdoppiamento. Ebbene, la produzione dei vini Vesuvio DOC si sviluppa su entrambi i picchi e le condizioni non sono le stesse: il Vesuvio è più vicino al mare con condizioni più miti e un terreno quasi esclusivamente vulcanico; il Monte Somma, più interno, è più fresco – vista l’influenza delle brezze appenniniche – e il terreno è arricchito da presenza di argilla. Importante, in entrambi casi, la stratificazione procurata dalle eruzioni avvenute nei secoli. Piede franco, quindi, per circa il 90% delle viti per una totale integrazione delle piante.
Non solo, è opportuno ricordare che le vigne si sviluppano in senso circolare su entrambe le punte esponendo alle miti brezze marine quelle lato mare e alle condizioni più fresche quelle lato interno su entrambi i promontori.

Caprettone o Catalanesca per i bianchi e Piedirosso per rosati e rossi sono i protagonisti indiscussi. Fresco e sapido il bianco da Caprettone che nella sua neutralità si presenta perfetto veicolo di un territorio vulcanico così caratterizzato; più ricco e con sentori di frutta più matura il bianco da Catalanesca che troviamo solo sul Monte Somma come racconta la denominazione dedicata Catalanesca del Monte Somma IGT dopo che per una breve parentesi, nel ‘900, era stato registrato come “uva da tavola” e non da vino come merita.
Se ben gestito – viste le numerose difficoltà sia in vigna sia in cantina -, il Piedirosso può regalare rosati e rossi di personalità: scarico e vivace il colore, accattivante il naso di piccoli frutti rossi e un vegetale ben integrato insieme, spesso, a sensazioni scure e pungenti per un assaggio equilibrato e dissetante non avendo tannini aggressivi.
Tali uve sono affiancate da piccole percentuali di varietà locali più rare o dalle più popolari varietà regionali come, ad esempio, l’Aglianico per i rossi (il partner perfetto: più potente e colorato), nonché Falanghina, Coda di Volpe o Greco per i bianchi. Questi ultimi vanno a comporre i blend ammessi dal disciplinare per i vini Vesuvio DOP (o Vesuvio Lacryma Christi DOP se la denominazione si arricchisce della leggenda: tali viti nascono dalle lacrime di Cristo ferito per il tradimento e il furto di un pezzo di Paradiso da parte di Lucifero), oppure, ancora, vanno ad accrescere la lista dei monovarietali (nel qual caso la varietà è ripresa in etichetta accanto alla denominazione).
L’anima vulcanica non riempie solo lo storytelling seppur affascinante ma caratterizza un’esperienza gusto olfattiva dai toni sapidi, ammandorlati, a tratti fragranti se non profondi nelle espressioni più evolute o nelle riserve.