Elbalus: Passito Erbaluce di Caluso D.O.C.

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Cosi scriveva nel 1606 Giovanni Battista Croce: Elbalus è un uva bianca cosi detta, come Albaluce; fa li grani rotondi, folti e corposi, matura diviene rosita e colorita e si mantiene su pianta assai, è buona da mangiare e a questo fine si conserva: fa li vini buoni e stomacali.
L’origine?
Difficile da dirsi ma certamente antico.
Nel 1855 ottiene la medaglia d’Oro all’esposizione di Parigi, viene premiato nel 1877 all’esposizione vaticana e in molte altre manifestazioni.

Come si ottiene?
Bèh certamente un grande lavoro in vigna e successivamente in cantina.
Il disciplinare prevede: si ottiene vinificando le uve Erbaluce, con percentuali del 95% in aggiunta di Bonarda locale massimo 5%.
Dopo un appassimento protratto fino al 1 febbraio successivo alla vendemmia, i grappoli sani accuratamente scelti e ad un appassimento naturale (e non forzato) si appendono singolarmente sui graticci (in locali ben arieggiati chiamati passitaie, un tempo si portavano in soffitta ove faceva più caldo) al fine di favorire l’evaporazione dell’acqua presente nell’acino e la conseguenza concentrazione degli zuccheri.
A marzo viene effettuata la schiccatura dei grappoli (separazione degli acini apassiti dal raspo) che viene effettuata a mano per consentire un ulteriore controllo e selezione degli acini.
Vengono pressati delicatamente (solo quelli integri) in un piccolo torchio di legno, il mosto viene decantato a freddo e fatto fermentare grazie all’azione dei lieviti.
L’invecchiamento come prevede il disciplinare: viene effettuato in piccole botti di rovere, che dura circa 3 anni, cui fa seguito un affinamento in bottiglia di un anno.
Il colore va dal giallo oro all’ambrato scuro, la limpidezza è brillante, l’odore delicato, etereo e caratteristico, il sapore dolce, armonico, pieno e vellutato.
La gradazione alcolica totale minima è di 17% vol.; l’estratto secco netto minimo è pari a 26 grammi per litro, gli zuccheri residui naturali sono pari ad almeno 70 grammi per litro e l’acidità totale minima è di 5 grammi per litro.
 
Da una ricerca fatta dalla Regione Piemonte (quindi fonti ufficiali), si dice: “del resto il dato medio della produzione annuale degli ultimi cinque anni, 100 -150 hL, evidenzia in modo palese come questa tipologia di prodotto, seppur conosciuta e ricca di tradizione, sia praticamente quasi abbandonata. Le cause di questa contrazione sono da ricercare nella scarsa remunerazione del prodotto dovuta agli elevati costi di produzione (basse rese, elevata richiesta di manodopera, tempi lunghi di conservazione), nelle difficoltà tecnologiche di produzione e nel legame tra questo particolare prodotto con l’anzianità dei produttori.
Alcune cantine, che ho anche visitato, mi trovano in perfetta sintonia con la ricerca fatta dalla Regione Piemonte ed inoltre un’altra ricerca evidenzia come il Canavese, abbia subito una notevole industrializzazione negli anni scorsi che ha determinato un lento, ma inesorabile, abbandono del lavoro agricolo.

Molte colline un tempo rivestite di vigneti oggi mostrano evidenti scempi di degrado: costruzioni  residenziali, strade e talvolta affronti paesaggistici come capannoni in disuso da anni.

Concludo dicendo che il Canavese è un’altra realtà da salvare e probabilmente, se non intervengono fattori esterni, cioè noi consumatori, tra 20 anni non si potrà più assaporare il nettare degli Dei.
   

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