“Enoica” Valtellina del Nebbiolo

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E’ senza dubbio una delle realtà enologiche di punta della Lombardia e destinata a diventarlo sempre più anche a livello nazionale, sto parlando della Valtellina e del suo Nebbiolo di “montagna”.
Si trova nella parte Nord della regione, in provincia di Sondrio, è una valle che va da Tirano a Morbegno solcata dal fiume Adda, dove il vigneto è parte integrante del paesaggio e ne rappresenta la realtà più significativa del suo fascino. Senza ombra di retorica qui la viticoltura si può definire assolutamente “eroica”, una storia fatta di uomini che nel corso della storia hanno realizzato con fatica una miriade di muretti a secco per costruire terrazze su cui coltivare la vite, allineate con estremo ordine, come se un artista ne avesse previsto il disegno complessivo.

Una stima verosimile ha quantificato in circa 2.500 km la lunghezza dei terrazzamenti e lo splendore  suggestivo del paesaggio è tale che è in corso la pratica per far divenire questa realtà della Valtellina  un Patrimonio dell’Umanità UNESCO. Si possono quantificare in circa 800 gli ettari di vigneto iscritti all’albo, con poco più di 2.000 viticoltori, con una superficie media di conduzione di circa 0.4 ha, dato emblematico dell’assoluta parcellizzazione dell’impianto viticolo valtellinese.

Ancora più significativa la quantità dei produttori di vino che indicativamente sono “solo” una quarantina circa, costituiti da un numero limitato di grosse aziende vinicole ed un insieme assai più numeroso di piccoli e piccolissimi produttori che contribuiscono a moltiplicare la varietà interpretativa dei vini di Valtellina. Giusto per chiarire meglio questo concetto, abbiamo per esempio grosse cantine come Nino Negri (900.000 bottiglie), Nera (700.000 bottiglie), Triacca (600.000 bottiglie), Plozza (350.000 bottiglie), Sertoli Salis (250.000 bottiglie), Mamete Prevostini (160.000 bottiglie) affiancate a realtà con numeri molto più piccoli, per esempio Arpepe (45.000 bottiglie), Fay (42.000), Caven (30.000 bottiglie), Fondazione Fojanini (30.000 bottiglie), Nobili (18.000 bottiglie), Dirupi (15.000 bottiglie), Gianatti (8.000 bottiglie), Le Strie (6.000 bottiglie). E’ evidente comunque come sia ampia la forbice che separa cantine con elevati numeri rispetto ad altri produttori con livelli molto più “familiari”. Un concetto comunque che deve essere chiaro in modo preciso è che entrambe queste realtà hanno un livello qualitativo dei loro vini assolutamente medio-alto, con  il sistema Valtellina che dal punto di vista enologico si sta muovendo all’unisono nella stessa direzione, con comunione di intenti e grande serietà territoriale.

Ora dobbiamo trattare quello che possiamo definire il vero “Imperatore” della viticoltura valtellinese, ovvero “Sua Maestà” il Nebbiolo, localmente chiamato Chiavennasca. In Italia madre natura ha deciso di regalare ad alcune zone quella magica alchimia di terroir e microclima tali per cui questa uva riesce ad esprimersi a livelli di assoluta eccellenza. Sto parlando del Piemonte, della bassa Val d’Aosta e della Lombardia, vini come Barolo, Barbaresco, Ghemme, Gattinara sono da molti conosciuti come massime espressioni del Nebbiolo. Accanto a queste entrano di diritto i Valtellina Superiore e lo Sforzato di Valtellina, che ormai nelle loro migliori esecuzioni raggiungono vette qualitative che poco o nulla hanno da invidiare a mostri sacri come Barolo e Barbaresco. L’Italia enologica deve farsi vanto di essere la realtà mondiale che esprime le più alte vette qualitative dei vini base Nebbiolo, senza campanilismi, ma con grande coesione di sistema.
In Valtellina i vitigni internazionali non hanno avuto molto sviluppo e sono presenti solo in modeste quantità, invece sono state mantenute delle piccole “nicchie” autoctone come Brugnola, Rossola, Pignola che possono essere utilizzate in basse percentuali per l’uvaggio di vini a denominazione.

Le DOCG attualmente esistenti in questa zona sono due: Sforzato di Valtellina DOCG e Valtellina Superiore DOCG, inoltre abbiamo la DOC Rosso di Valtellina.
Lo Sforzato (o Sfursat) di Valtellina è il primo vino passito rosso secco italiano a  potersi fregiare della DOCG, ottenuta nel 2003. Si tratta del risultato enologico di una selezione delle migliori uve Nebbiolo che subito dopo la vendemmia vengono poste per circa tre mesi ad appassire su graticci in locali asciutti e ben ventilati, detti “fruttai”. Questa attività provoca una forte disidratazione dei grappoli che perdono circa il 40% del loro peso, attuando un appassimento che provoca una concentrazione di tutte altre sostanze presenti nell’acino, in particolar modo degli zuccheri.
A questo punto avviene la pigiatura ed inizia il normale processo di vinificazione in rosso delle uve e, a differenza dei vini passiti dolci, in questo caso si effettua una completa trasformazione degli zuccheri in alcol. Dopo circa 2 anni di affinamento minimo in legno e bottiglia, lo Sforzato di Valtellina è pronto per essere commercializzato, ci si trova di fronte ad un vino di grande struttura ed estrazione. Le sensazioni olfattive sono molto intense e particolari, con chiare espressioni di frutta matura  e sotto spirito, sentori speziati e terziari evoluti, solitamente di ottima complessità. In bocca si ha grande struttura, il grado alcolometrico minimo è di 14%, l’intensità c’è ed è molta, accompagnata spesso da morbidezza ed avvolgenza. Come accade nelle Langhe, anche qui c’è una sorta di disputa fra “tradizionalisti”, sostenitori dell’affinamento in botte grande, ed “innovatori” ovvero fautori dell’uso della barrique. Non entro assolutamente nel merito di questo ardito dibattito, l’aspetto fondamentale è che a prescindere dal “legno” usato le peculiarità del frutto devono essere rispettate, con un affinamento calibrato, che mai deve coprire o mascherare il prodotto della vigna.
Lo Sforzato nella sua tipologia può essere assimilato per concetto produttivo all’Amarone della Valpolicella, che assieme rappresentano i due esempi più emblematici di vino rosso passito secco italiano. E’ destinato ad abbinamenti con piatti molto strutturati di cui è ricca la Valtellina, per esempio con della selvaggina in umido, oppure con formaggi molto stagionati come il Bitto, l’emblema caseario di questa zona. Nelle sue espressioni più morbide ed eleganti lo Sforzato diventa addirittura un eccellente vino da meditazione.

Parliamo dell’altra grande denominazione, ovvero il Valtellina Superiore DOCG, che si suddivide in cinque sottozone che da Ovest ad Est sono rispettivamente: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno, Valgella. Per quanto riguarda il vitigno deve essere utilizzato almeno il 90% di Nebbiolo ed il resto deve provenire da vitigni autorizzati nella provincia di Sondrio, con un affinamento minimo di 24 mesi di cui almeno 12 in legno. Con 36 mesi di invecchiamento si può conseguire la qualifica di Riserva.

Ogni sottozona presenta delle caratteristiche di terreno e clima leggermente diverse dalle altre, ma diventa difficile generalizzare sulle peculiarità di ognuna, in quanto l’impronta interpretativa del produttore è quella che più definisce il carattere di un vino. Bisogna essere dei grandi conoscitori dei prodotti del territorio ed avere un bagaglio di degustazioni molto ampio per riuscire a cogliere le sfumature identificative di ogni zona, compito davvero per pochi esperti. Possiamo comunque dire che la maggioranza di questi vini si comporta bene nei confronti dell’affinamento in bottiglia, con evoluzioni negli anni che sanno regalare belle soddisfazioni. Per quanto riguarda gli abbinamenti, anche in questo caso il territorio offre una gastronomia che ben si completa con il comparto enologico valtellinese, tanto per citare alcune prelibatezze si può accompagnate il Valtellina Superiore con dei Pizzoccheri, Polenta Taragna, Stufati di cacciagione e formaggi stagionati come Bitto e Casera.

Un fatto importante che va ricordato, riallacciandosi al concetto di viticoltura “eroica”, è che il costo della mano d’opera per ogni ettaro di vigneto è molto più alto rispetto alla pianura, ma anche nei confronti della collina, seppur con meno divario. La limitazione nella maggior parte delle situazioni dell’uso di macchinari e trattori obbliga ad un intensivo lavoro direttamente con le braccia dell’uomo, che inevitabilmente incrementano tempistiche, fatica e costo. Per cui i vini di qualità prodotti in questo territorio non possono scendere sotto certe soglie di prezzo, pur rimanendo comunque in ordini di grandezza assolutamente “umani”. Nella fascia fra i 15 e i 30 euro si possono trovare la maggioranza delle migliori espressioni enologiche della Valtellina, per cui non si può certo dire che i prezzi siano improponibili. Alla luce di ciò risulta ancor più encomiabile il lavoro dei viticoltori che da un lato devono fare i conti con i costi della mano d’opera e dell’alta qualità in vigna, dall’altro devono attuare politiche commerciali che favoriscano l’esportazione dei loro vini al di fuori della Valtellina.

Vino, gastronomia e turismo sono tre concetti molto radicati in questa zona, per cui vale davvero la pena scoprirne i segreti: degustare un grande Nebbiolo, di fronte ad un piatto di Pizzoccheri, ammirando i terrazzamenti è davvero una quadro che consiglio di “dipingere” da protagonisti, in prima persona, in Valtellina.

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