Piwi, i vini del futuro: l’evoluzione resistente della nuova enologia
Scritto da Nicola Biasi | Pubblicato in territorio
In un mondo sempre più omologato e frenetico, dove le persone hanno sempre meno tempo da dedicare ai piaceri della vita, un nuovo ramo dell’enologia offre l’occasione ai wine lovers di tutto il mondo, di sfuggire all’ omologazione e standardizzazione, grazie ai nuovi profili organolettici dei vini ottenuti dalle varietà resistenti.
Ho iniziato a conoscere queste varietà nel 2010, per sviluppare un progetto personale. Tecnicamente parliamo di incroci che avvengono per impollinazione tra viti europee e viti asiatiche.
Nate a Friburgo più di cinquant’anni fa, le varietà resistenti possiedono le caratteristiche enologiche della vite europea e la capacità di resistere alle malattie fungine di quella asiatica.
Questa loro importante caratteristica ha, fortunatamente, acceso interesse anche in Italia ed è per questo che l’Università di Udine ha avviato, agli inizi del nostro millennio, delle sperimentazioni che hanno portato alla nascita di nuove varietà. Ad oggi una decina sono già state omologate, distribuite in esclusiva dai vivai cooperativi Rauscedo, e altre numerose sono in via di sperimentazione. Friburgo ad oggi, invece, vanta di un numero maggiore di vitigni resistenti autorizzati, conosciuti come PIWI (Pilzwiderstandfähig, che in tedesco significa “varietà resistenti ai funghi”).
Ma cosa rende così attuali e importanti queste varietà resistenti?
In questo momento storico, dove purtroppo i problemi dovuti al cambiamento climatico, sono all’ordine del giorno, anche noi viticoltori dobbiamo trovare il modo di ridurre l’inquinamento sia a livello di anticrittogamici che di emissioni di Co2. E’importante ricordare che questi vitigni non sono immuni alle malattie, ma possiedono un’alta resistenza che ci permette di ridurre drasticamente il numero di trattamenti necessari per mantenere sane le piante. A titolo esemplificativo, nel Nord- Est Italia, zona molto difficile per la difesa fitosanitaria, spesso le varietà tradizionali richiedono dai 15 ai 20 trattamenti annui, le resistenti, invece, ci permettono di scendere con estrema facilità a soli 3-4 interventi o addirittura meno. Inutile evidenziare l’altissimo livello di sostenibilità ambientale che si potrebbe raggiungere con la diffusione di questi nuovi vitigni.
Personalmente ho posto molta fiducia nelle potenzialità e qualità di queste uve ad oggi poco conosciute. Come per i vitigni tradizionali, per produrre vini di alta qualità è fondamentale utilizzare un’enologia varietale e specifica che esalti la sinergia con il territorio.
Dopo anni di ricerche e sperimentazioni siamo riusciti a sfruttare al massimo il potenziale viticolo e ad ottenere vini che non hanno nulla da invidiare alle grandi bottiglie delle varietà classiche. E’ dunque doveroso ringraziare gli uomini e gli imprenditori che, in prima persona, hanno investito energie e risorse in questo progetto. La famiglia Morandell, con la loro azienda Lieselhoff a Caldaro, come pionieri in Italia; Robert Spinazzè con la sua Terre Di Ger, socio fondatore di “PIWI Friuli Venezia Giulia”; Massimo Reniero e Silvestro Cracco che sono stati i primi a piantare le varietà resistenti in Veneto fondando Terre di Cerealto. Oltre a queste aziende già affermate è giusto presentare i progetti Ca’ Apollonio di Romano d’Ezzelino dove Maria Pia e Massimo Vallotto hanno creato l’azienda di soli vitigni resistenti più grande d’Europa; l’azienda Poggio Pagnan che sta facendo riscoprire la viticoltura di qualità nel bellunese; l’azienda Colle Regina che, in assoluta controtendenza nella culla del prosecco DOCG, ha piantato le varietà resistenti a Farra di Soligo. Ultima ma non in termini di importanza l’azienda Albafiorita che, in provincia di Udine, sta costruendo una specifica cantina per la vinificazione delle sue nuove uve da vitigni resistenti.
Ciò che unisce tutti noi, oltre alla volontà di produrre ottimi vini con la miglior sostenibilità possibile, è che il mondo dell’enologia abbia bisogno di questa innovazione che ci dia la possibilità di incontrare sensazioni, profumi e sapori nuovi come questi, che potranno andare solo ad arricchire il meraviglioso bagaglio enologico del nostro paese e, perché no, anche del resto del mondo.
D’altronde le più grandi tradizioni nascono sempre dalle rivoluzioni.