Vitigni resistenti: si tradisce la tradizione?
Scritto da Marco Mascellani | Pubblicato in viticoltura
La tradizione è la tavola apparecchiata la vigilia di Natale. È il menù della vigilia di Natale. A casa mia è inscalfibile, si ripete in maniera pedissequa ogni anno. Filetti di baccalà fritto, frittelle di broccoli, insalata russa e poi c’è quel primo, quel primo piatto sobrio, senza fronzoli, probabilmente quello che meglio incarna lo spirito della vigilia che ci suggerisce di non mangiare carne come simbolo di sacrificio, quel piatto che vorrei cambiare ma non ci riesco: gli spaghetti con il tonno.
È un piatto di tutti i giorni, un primo che mi rimanda ai tempi dell’università, “oggi mangiamo pesce” dicevamo sarcasticamente ogniqualvolta si decideva di aprire una scatoletta di tonno. Io lo vorrei cambiare quel primo, magari con un bello spaghetto alle vongole o, perché no, con un risotto ai frutti di mare o meglio ancora agli scampi. Vorrei, ci provo, ma le resistenze in famiglia sono superiori alla mia volontà.
La tradizione va rispettata. La tradizione è agricoltura, la tradizione è viticoltura, la tradizione è persino enologia.
Questo è quello che si vuole sentir dire il consumatore e noi, addetti ai lavori, spesso lo accontentiamo. Perché meno faticoso, perché impieghiamo meno energie ad assecondarlo piuttosto che a spiegargli quanto fondamentale sia stata la ricerca, e l’innovazione che ne è scaturita, per la qualità e la sicurezza delle terre che lavoriamo e dei vini che facciamo.
La tradizione si vende meglio, perché siamo portati a pensare che il passato sia stata un’epoca più bella, ci convinciamo di quanto sarebbe stato bello vivere in quegli anni, siamo presi da quella sindrome di “Midnight in Paris” e non riusciamo ad uscirne, salvo poi usare google maps anche per raggiungere il gabinetto di casa.
Già, perché il “come una volta senza se e senza ma” è argomento agroalimentare ed enogastronomico, ma per tutto il resto accogliamo con giubilo tutte le innovazioni possibili, forse perché riusciamo a toccarne con mano l’utilità.
La tradizione invece è l’impianto intorno al quale dobbiamo scrivere la nostra storia. Con coraggio e senza timore di tradirla. È difficile mettere in discussione la parola dei nostri genitori, ma significherebbe insultare il loro lavoro se facessimo esattamente quello che ci hanno trasmesso; dobbiamo prendere il meglio dei loro insegnamenti, utilizzandone il più importante: pensare, prima ancora di agire. Pensare per agire. Pensare allo stesso modo può portare anche ad agire in modo diverso. I mezzi che abbiamo a disposizione sono diversi e il nostro pensiero non deve conoscere steccati. Pensare, osare, agire e anche sbagliare, perché necessario. Ma soprattutto raccontarlo, trasmettendo la consapevolezza che è necessario andare oltre, è indispensabile non fermarsi alla tradizione.
La tradizione va tradita. Anche i nostri genitori, stiamone certi, l’hanno tradita, altrimenti non saremmo arrivati qui, testimoni di un settore vitivinicolo più sicuro e diversificato.
I vitigni Piwi, dal tedesco PilzWiderstandfähig (vitigni resistenti ai funghi), sono delle piante definite ibride perché frutto di incroci tra Vitis Vinifera e altre specie del genere Vitis.
Il risultato di questi incroci sono varietà nuove, seppur con buona parte del genoma di cultivar tradizionalmente coltivate, caratterizzate dalla resistenza ai funghi responsabili delle principali malattie che affliggono la viticoltura: Peronospora e Oidio. Attualmente in Italia solo tre regioni – Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia – autorizzano l’impianto, per un totale di venti varietà iscritte nel catalogo nazionale.
Mentre la “Piwi international” è un’associazione che coinvolge sempre più attori e paesi, in Italia si va a due velocità: le regioni che ne hanno autorizzato la coltivazione impiantano, fanno ricerca, riducono i trattamenti antiparassitari e commercializzano vini nuovi, incrementando, invece di ridurre come potrebbe sostenere qualche oppositore, la gamma varietale regionale; nel resto del paese invece si è fermi al palo.
Lavoro principalmente nel mezzogiorno e mi piacerebbe testare le caratteristiche di alcune di queste varietà, ma per i motivi sopra descritti non se ne parla. Sarebbe interessante per capirne la reale potenzialità in termini sia di resistenza alle crittogame che qualitativi. Se positiva, potrebbe portare ad un intenso lavoro di ricerca e sviluppo partendo dalle varietà tradizionali del territorio. Ma bisogna partire. Bisogna osare per partire.
“Agire invece di reagire” come scrivono nel sito di “Piwi International”. Vogliamo solo scrivere la nostra storia, esserne protagonisti.
Voglio solo cambiare il primo dal menù della vigilia di Natale, che se poi non ci piace, a fare uno spaghetto col tonno ci vuole un attimo.