Vita da Sommelier: Roberto Anesi

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Roberto Anesi, classe ’72, è un Sommelier di origini trentine. Il suo percorso nel mondo del vino inizia nel 1997 fino a diventare Sommelier professionista nel 2006. Relatore AIS dal 2008  inizia a collaborare con magazine del settore e Wine TV.

 
Nel corso degli anni ha inoltre conseguito il WSET Level 3, corso che si svolge in inglese, di impostazione decisamente professionale, progettato per portare a una conoscenza approfondita di una vasta gamma di vini e distillati. L’attenzione è concentrata sugli elementi che influenzano lo stile, la qualità e il prezzo di vini e distillati prodotti nelle principali regioni vitivinicole del mondo.

Vive sulle Dolomiti in Val di Fassa, a Canazei, dove si occupa del suo ristorante El Paèl.

Nel 2017 Roberto Anesi è diventato il Miglior Sommelier d’Italia AIS, premiazione che si è svolta a Taormina in occasione del 51° Congresso Nazionale AIS che ho avuto il privilegio e l’onore di organizzare insieme al Presidente di AIS Sicilia Camillo Privitera.

Ho incontrato Roberto in occasione dell’evento “Sarà un’ottima annata” organizzato dall’azienda Feudi di Guagnano all’Hotel Hilton Gardenn Inn di Lecce.

Di Roberto ho potuto apprezzare la sua grande dote di comunicatore che si combina con l’eleganza, i modi garbati e la grande passione  che fanno di lui un  eccellente sommelier professionista.

Come sei  arrivato a questo gran bel traguardo?
Con tanta passione, forza di volontà, con la voglia di mettersi in discussione e imparare ogni giorno perchè il percorso è assolutamente impegnativo. Le capacità richieste vanno allenate con lo studio, con tanta applicazione e lavoro in sala e con tanto tempo che bisogna purtroppo sottrarre alla famiglia, al lavoro, al sonno. Ci si arriva solo così.

Come cambia la vita il giorno dopo essere diventato il miglior Sommelier d’Italia AIS?
Ci vuole qualche giorno per realizzare, le prime volte quando mi presentavano come miglior Sommelier d’Italia non capivo se stessero parlando di me o di qualcuno che era nascosto dietro di me. Ci vuole un po’ di tempo ma quando lo si realizza credo che cambi innanzitutto il senso di responsabilità verso quella che è la produzione del vino italiano ed i produttori italiani. Con un senso di orgoglio, come diceva il mio predecessore, ti rendi conto che quando ti alzi in piedi per parlare il tuo pensiero ha un valore decisamente diverso.

Come trovi oggi la produzione vitivinicola italiana?
In grande fermento, se posso utilizzare questa parola visto che si usa anche nel settore. La trovo sicuramente cosciente di quelli che sono i punti di forza e quindi concentrata nel puntare su questi punti di forza che sono il territorio, il lavoro dei produttori italiani, la passione, il cuore. Sono elementi che oggi noi italiani possiamo mettere in campo anche se a volte ci sono delle difficoltà più o meno evidenti soprattutto sulla modernizzazione non ancora  perfettamente sviluppata in tante aziende. Poi ci sono aziende che hanno dei grossi limiti di comunicazione verso l’esterno e  altre ancora che hanno mezzi molto limitati per cui non possono viaggiare per far conoscere veramente in pieno quelli che sono i propri prodotti.

Se tu dovessi dare un consiglio ai giovani imprenditori che si stanno affacciando adesso al mondo della produzione vitivinicola, che cosa consiglieresti e quale indicazione daresti per non commettere errori importanti?
Non so se sono la persona giusta per dare un consiglio del genere anche perché dare consigli è sempre una grossa responsabilità. Quello che posso dire è metteteci tutta la passione, metteteci tutto l’impegno, cercate di portare al vostro consumatore le vostre radici, la vostra storia, la vostra tradizione perché sono il punto nevralgico che rende l’Italia un Paese speciale agli occhi del mondo. Se commettiamo l’errore di omologarci, di standardizzarci e vogliamo paragonarci al produttore della California che fa il Cabernet allora siamo perdenti in partenza. Se invece vogliamo portare le nostre radici, la nostra cultura attraverso i nostri vini in giro per il mondo allora non ci batte nessuno.

Noi abbiamo una delle più ampie ampelografie a livello mondiale. Ci sono tantissime regioni italiane che producono delle piccole nicchie, delle piccole realtà che stanno dando grandissimi risultati. Non credi che questa ampiezza di DOC e DOCG sparse possa confondere il consumatore italiano e straniero?
Il rischio c’è, ho contatti quotidiani con quella che è la clientela internazionale e la sensazione che a volte si ha è di confusione sulle denominazioni, sui vini da tavola, sui vini base che comunque hanno adesso hanno una qualità elevata, sulle DOP a volte discutibili. Per questo insisto nel dire che dobbiamo cercare di far capire la nostra storia, le nostre origini più che le denominazioni. Il nostro patrimonio ampelografico è impressionante ed invidiato da chiunque, penso che qualsiasi produttore di altre nazioni anche importanti farebbe carte false per avere la ricchezza che abbiamo noi. Forse dobbiamo ancora renderci conto di quanto è ricca la nostra proposta, dobbiamo cercare di affermare quello che è il valore vero dell’Italia, il cuore della produzione italiana. Ritorno a dirlo, forse rischio anche di essere noioso, ma credo che questo sia il vero punto nevralgico dell’offerta italiana.

Oggi anche il mondo del vino si è spaccato se andiamo a considerare i Wine Lovers che si affidano ai vini artigianali e convenzionali. Come vedi questo confronto tra questi due mondi, esiste la possibilità di trovare un punto d’incontro?
Credo che sia un argomento che riguardi solo una nicchia di mercato, una nicchia di consumatori e di proposte di nicchia. La mia idea è che il vino debba innanzitutto essere buono, indipendentemente dal fatto che sia biologico, biodinamico, convenzionale e quant’altro… un vino deve dare piacere e regalare emozioni, poi se è fatto in maniera sana, pulita, ecosostenibile meglio ancora ma non voglio partire da preconcetti, voglio partire dall’idea che un vino deve avere carattere e darmi qualcosa di speciale.
 
Oggi si parla molto di emergenza di sala, la maggior parte dei ristoratori non credono o non vogliono investire in figure professionali. Che consiglio potresti dare a chi svolge questo lavoro?
Far quadrare i conti delle aziende attualmente è un’impresa, bisogna fare i salti mortali perché ci sono mille difficoltà da affrontare, siamo quasi più burocrati che ristoratori al giorno d’oggi. E’ molto importante però fare uno sforzo per formare il proprio personale o per formarsi in prima persona per poterne trarre tutti vantaggi. Uno degli aspetti più importanti è che il cliente non spende come in passato, è più esigente, vuole essere servito nel modo giusto e nella giusta maniera da un professionista che sappia raccontare, comunicare il vino nel nostro caso, per cui nel momento in cui trova questa situazione, allora è disposto a spendere di più. Perciò io dico sempre che non finiró mai di imparare e di  avere fame di nozioni, di conoscenza e voglia di trasmettere tutto questo ai nostri tavoli, ai nostri clienti.

Oggi per essere un bravo Sommelier e servire in ristoranti di un certo livello bisogna bere tanto e per bere tanto bisogna spendere. Quali consigli potresti dare ad un giovane che si volesse avvicinare al mondo della Sommellerie senza svenarsi?
Bisogna fare delle scelte, bisogna essere disposti ad investire su se stessi. Investire su se stessi vuol dire studiare, viaggiare, non perdere le occasioni nelle quali si possono assaggiare vini che altrimenti sarebbero inaccessibili. Ci sono tante degustazioni e occasioni in cui vengono presentati vini importanti, ad esempio la prossima organizzata da voi di Vinoway il 4 Maggio a Castello Monaci a cui spero di poter partecipare. Bisogna dedicare tanto tempo e tanta buona volontà e magari cercare di appofittare di quelle occasioni in cui pagando solo il prezzo del biglietto si possono conoscere vini pregiati, importanti. Questo lavoro si costruisce anche così, mattoncino su mattoncino, giorno per giorno.

Vediamo che il mondo della ristorazione è variegato, ci sono tanti professionisti ma anche tanta improvvisazione, chi apre un locale è sempre convinto di poter avere successo. In questo clima di confusione, come si potrebbe far sì che la ristorazione abbia dei canoni essenziali e culturali?
Purtroppo penso che sia difficile farlo, il mercato ha delle regole sulle quali non possiamo intervenire. Spesso si apre un ristorante senza avere le conoscenze, senza avere una solidità anche finanziaria, perché è difficilissimo sopravvivere, infatti non ricordo esattamente la statistica, ma so che la gran parte dei ristoranti chiude entro l’anno.
E’ difficile al giorno d’oggi in Italia riuscire a creare un’azienda. Le armi a disposizione sono poche e sono il lavoro duro, la grande passione, la voglia di emergere e soprattutto la coscienza che il cliente è la risorsa fondamentale di ogni attività e come tale va rispettato, va in qualche maniera coccolato, fatto sentire protagonista del nostro lavoro. E’ vero che noi siamo i padroni dentro casa nostra ma è anche altrettanto vero che noi dipendiamo da ogni volto, da ogni persona che entra nel nostro locale che dobbiamo assolutamente cercare di conquistare in  quell’ora e mezza che trascorre al nostro tavolo.

Tu sei un educatore dell’Associazione Italiana Sommelier, che cosa insegni principalmente ai tuoi allievi?
Cerco di trasmettere quelli che sono i principi nei quali credo. Sicuramente devi trasmettere le regole, la tecnica, le buone norme di base.
Quello che fa la differenza al giorno d’oggi è quel pizzico in più, quella voglia di coccolare l’ospite, quella voglia di raccontare un vino, quella voglia di presentare il piatto che rifletta il territorio, che racconti una storia, che racconti le tradizioni. Credo che sia sempre questa, lo sottolineo ancora una volta, la ricetta della ristorazione italiana.

Tu hai questa grande pregio di porti con umiltà, con eleganza, con rispetto nei confronti del pubblico e della platea. Ancora oggi si vedono dei Sommelier che hanno tutt’altro atteggiamento. A questi colleghi cosa vorresti dire?
Sono ormai vent’anni che sono in AIS, da 10 anni sto facendo il relatore e studio per i concorsi e mi rendo conto di quanto poco io conosca del mondo del vino. Anche quest’anno durante la preparazione per il concorso a volte tornavo a casa un pò demoralizzato pensando: “Cavolo, non so veramente niente”. Bisogna mettersi sempre in discussione con umiltà, se arrivi a pensare le tre paroline “lo so già” la tua mente si “ingessa”, se pensi di sapere tutto automaticamente blocchi la tua capacità, blocchi la tua mente ed il tuo percorso di crescita, mentre questo è un lavoro dove devi essere sempre volonteroso e voglioso di scoprire, di capire, di assorbire come una spugna tutto quello che ti dicono e tutte le esperienze che vivi. Questa mattina sono venuto qua, ho assaggiato nove Negroamaro eccezionali, eccellenti, tre tipologie sfruttando una verticale storica e  vado a casa contentissimo, arricchito per aver scoperto qualcosa in più, porto a casa un’esperienza che sicuramente non dimenticherò.

A cosa ambisci dopo questo bellissimo traguardo?
Limiti non me pongo mai, il titolo acquisito in qualche maniera l’ho già archiviato tra le cose “con la spunta verde, ok fatto”. Ho tante altre cose nella mia lista, forse l’ambizione più grande che ho è quella di poter essere un referente didattico importante all’interno dell’Associazione Italiana Sommelier, per avere la possibilità di  poter trasmettere in qualche maniera quello che ho imparato in tutti questi anni. Mi piacerebbe potermi dedicare alla didattica e quindi all’insegnamento in maniera più importante rispetto ad ora. E’ un mondo che mi affascina tantissimo, mi dà stimoli, mi dà modo di conoscere, di girare, di viaggiare… lo trovo estremamente interessante. Per quanto riguarda il mondo dei concorsi, vi sono rientrato dopo qualche anno e forse ho centrato subito il colpo e questo per me è importantissimo. Spero in futuro di poter  partecipare a un campionato a livello internazionale sarebbe incredibile, sarebbe un’esperienza fantastica. Al momento però voglio tranquillamente pensare di poter migliorare ancora le mie capacità di trasmettere quello che ho imparato e quindi essere un relatore valido e credibile.

Cosa vuoi che ti auguri?
Mi auguro di poter innanzitutto avere sempre la salute che è fondamentale al giorno d’oggi, la serenità di poter continuare il mio lavoro. Mi auguro di poter visitare altri territori, come il Salento che ho visitato in questi giorni, con tanta voglia di crescere, con tanta voglia di affermarmi, con tanta voglia di mettermi in gioco confrontandomi con gli altri. Mi auguro di aver sempre dentro di me la voglia di imparare, di mettermi alla prova e mi auguro che non capiti mai il giorno in cui le famose tre paroline “lo so già” arrivino nella mia nella mia testa e me lo ingessino come dicevo prima. Per cui a testa bassa, tanta umiltà e tanta voglia di crescere ancora.

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