Esiste sessismo nel mondo del vino?
Scritto da Rossana Lamedica | Pubblicato in fatti
Molti anni fa mio figlio, che all’epoca era un bimbetto di seconda elementare, mi chiese con candore se anche le donne potessero indossare i jeans. A quella domanda ne seguirono altre della stessa tipologia, per esempio se potessero fare le poliziotte o guidare un autobus, e per me rimane tutt’oggi un mistero chi o cosa possa avergli generato questi dubbi.
Dopo lo sconcerto dei primi istanti, nei quali ammetto di aver valutato anche l’ipotesi di disconoscerlo, ho pensato che un figlio sessista fosse per me una sorta di legge del contrappasso, un po’ come un fidanzato “terrone” per la figlia di un onorevole leghista (Zalone docet).
L’episodio mi è tornato in mente in questi giorni in cui due avvenimenti hanno provocato una deriva sessista imbarazzante e senza precedenti dal Medioevo in poi, ovvero la qualificazione ai quarti di finale della Nazionale femminile di calcio ai Mondiali di Francia, e l’odissea della capitana coraggiosa Carola Rackete, comandante della OMG tedesca Sea Watch, che, sfidando le leggi italiane, ha portato in salvo 42 naufraghi stremati nel porto di Lampedusa.
Stenderei un velo pietoso, al netto di qualsiasi legittima analisi politica sulla quale non intendo dibattere in questa sede, sulla marea di minacce e insulti rivolti a queste ragazze, colpevoli di aver dimostrato, in entrambi i casi, le cosiddette palle, giusto per non farci mancare l’ennesima locuzione maschilista che rende la determinazione e il coraggio di una donna socialmente accettabili solo se accostati a un attributo maschile che ne elevi il rango.
La serie impressionante di post deliranti e di inequivocabile contenuto sessista ha solo consolidato la mia idea che la discriminazione sessuale sia una piaga che nel 2019 ancora invade la società in generale e il mondo del lavoro…
E il mondo del vino? C’è sessismo in questo ambiente? Bella domanda, alla quale però non so dare una risposta circostanziata basata su esperienze personali che vadano oltre una sensazione di disagio provata in più di qualche occasione.
Lo scorso marzo mi ha fatto trasalire la pubblicazione di un editoriale degno più dell’ufficio stampa di un califfato islamico che di una nota testata giornalistica di settore. L’articolo era diretto contro la Presidente della Doc Mamertino, rea di aver scelto per il lancio di un comunicato stampa relativo alla presenza dei produttori della Doc al Vinitaly 2019, una fotografia definita dal giornalista “da calendario sexy” con “tette al vento e sguardo ammiccante”.
Da esperto comunicatore, avvezzo evidentemente a dibattere su argomenti di spessore, il nostro moralizzatore (che, cito testualmente, si batte pubblicamente contro il fenomeno dilagante degli influencer e delle influencer) piuttosto che disquisire sull’operato della signora in questione, ha preferito indulgere sulle profondità abissali della sua scollatura, sentendosi in dovere di “denunciare l’episodio, in difesa di tutte le donne del vino” e “contro un Ente del vino che, per la prima volta in Italia ha deciso di darsi a forme di comunicazione di bassa lega”.
Roba che, a confronto, Tommaso di Torquemada, il Grande Inquisitore, pare un liberale progressista.
La crociata contro le Chiara Ferragni del vino deve evidentemente essergli sfuggita di mano visto che la Signora non appartiene alla succitata categoria ma, al contrario, è un architetto, stimata imprenditrice vitivinicola, Presidente dell’associazione Doc Mamertino e vice delegata siciliana dell’Associazione Nazionale Donne del Vino. Con l’unico difetto di non voler costringere la sua credibilità nello scialbo grigiore di un tailleur da lavoro, ad uso e consumo di giornalisti sensibili e facilmente impressionabili.
Andando oltre le avventure del novello Savonarola, provo a rovistare su Intenet e mi imbatto nei risultati di una ricerca commissionata proprio dall’Associazione Donne del Vino, che riunisce oggi 750 associate con l’obiettivo di “diffondere la cultura e la conoscenza del vino attraverso la formazione e la valorizzazione del ruolo della donna imprenditrice nel settore vitivinicolo ed enoturistico”.
Apro e chiudo parentesi: in un mondo migliore, un’associazione che, sulla base del genere sessuale, si prefigga lo scopo di fare emergere e dare voce a specifiche esigenze e problematiche, non avrebbe motivo di esistere, un po’ come le quote rosa in politica.
Torniamo ai dati della ricerca che ha coinvolto produttrici, giornaliste, esperte, enotecarie e ristoratrici di tutte le parti d’Italia. Se l’85% delle produttrici dichiara di non aver mai subito atteggiamenti sessisti, pur ammettendo che “le donne continuano a faticare il doppio per affermarsi anche nelle aziende familiari dove sono contitolari con uomini”, la situazione declina notevolmente nel caso delle enotecarie e sommelier in posizione dipendente, che nel 63% dei casi sono certe o sospettano di subire un trattamento economico inferiore rispetto a quello dei colleghi maschi. Percentuale quasi identica nella categoria delle giornaliste, PR, esperte e consulenti, che in più, nel 39% dei casi hanno dovuto difendersi da atteggiamenti sessisti che andavano dalle battute semiserie agli atteggiamenti di discriminazione arrogante, fino alla richiesta di prestazioni sessuali.
In questa ricerca emerge inoltre che le fiere di settore sono percepite come momenti critici, nei quali con più probabilità i colleghi marpioni perdono l’occasione di dimostrarsi gentiluomini.
Queste cifre non soddisfano la mia voglia di pari opportunità, e allora provo a contare io stessa, effettuando una self made research molto casalinga, con i potenti mezzi a mia disposizione, uno smartphone e una calcolatrice. Voglio calcolare la presenza femminile in percentuale in alcune delle principali associazioni di sommellerie italiane, Ais, Fis e Onav, sia negli organi direttivi che nelle delegazioni regionali e provinciali.
In Ais la percentuale di donne nel Consiglio Nazionale si attesta intorno al 22%, mentre nelle delegazioni regionali e provinciali al 24%. In Fis il consiglio di amministrazione ha una percentuale di donne del 33%, mentre le delegazioni regionali del 25%. In Onav il Consiglio Nazionale è al 18%, le delegazioni regionali e provinciali al 19%. Punto più, punto meno, è abbastanza evidente che, anche in questo caso, la parità sia ancora molto lontana.
Ciò che invece i numeri non possono quantificare è quella strisciante e subdola sensazione di disagio a cui accennavo precedentemente, che prima o poi ciascuna di noi ha sperimentato nello svolgere il proprio lavoro: quei sorrisetti a mezza bocca se stai sempre con lo stesso collega, le allusioni, gli atteggiamenti machisti smerciati per filoginia a basso prezzo.
Nella mia breve ma intensa carriera da sommelier di sala mi sono spesso trovata a fronteggiare personaggi irritanti, maschi alfa egocentrici e desiderosi di innescare sfide “all’ultimo vino che ho bevuto” e “all’ultima cantina che ho visitato”. Sfide che peraltro ho sempre bruciato sul nascere dando loro piena e incondizionata ragione, fedele al mio mantra per cui la ragione si dà ai fessi.
Non so se questi comportamenti siano ascrivibili a sessismo o solo a generica imbecillità, sta di fatto che a volte un certo tipo di uomini (perché, grazie a Dio, ce ne sono tanti altri che non soffrono di questo tipo di complessi) percepisce come un problema la preparazione, la determinazione e la forza di una donna. Non ci viene perdonata la maggiore cultura, l’ambizione, la capacità di prendere decisioni scomode, per non parlare della bellezza, soprattutto quando affiancata all’intelligenza.
Il dissenso (o, aggiungo io, la frustrazione) maschile spesso non trova altra via di espressione che l’offesa gratuita a sfondo sessista. Ti danno della “grandissima zoccola”, e il loro ego azzimo ricomincia a lievitare. E’ sgradevole leggerlo, vero? Pensate sentirselo dire.
Spesso ho ascoltato questa parola rivolta, in mia presenza, a colleghe e amiche, restando colpevolmente in silenzio e provando a immaginare quante volte sarà stata detta nei miei confronti.
Lungi da me abbracciare battaglie femministe, ho sempre rigettato gli estremismi, non mi appartengono per formazione. Mi piacerebbe solo vivere in una società in cui si possa essere considerati semplicemente persone, esprimendo se stessi senza la necessità di associazioni di categoria, gay pride, OMG e quant’altro. E in più dove regni la pace, il vino naturale senza puzzette, la Nutella dietetica e le cerette senza dolore. Una società in cui tutte le donne che come me considerano il Pas Dosè troppo morbido a meno che non faccia sanguinare le gengive, non debbano più sentir parlare di vini femminili, scollature e altri fastidiosi stereotipi che fanno male non solo a chi li subisce, ma, soprattutto a chi, producendoli, evidenzia la propria incompiutezza come essere umano.