Il Prosecco Col Fondo della Vitivinicola Marchiori a Farra di Soligo
Scritto da Andrea Amistani | Pubblicato in recensioni vino
Di Prosecco se ne parla molto ormai, vuoi per le caratteristiche intrinseche del prodotto che sa conquistare i consumatori a livello mondiale, vuoi per il successo commerciale che sta di fronte agli occhi di tutti. Della storia e della tradizione del Prosecco se ne parla meno, rischiando di perdere quelle che sono le origini di questo vino.
Qui nella fascia pedemontana che va da Valdobbiadene a Conegliano, quando DOC e DOCG ancora non esistevano, i nostri vecchi lo chiamavano “vin col fondo”, ed era il prodotto di una vinificazione ancestrale con rifermentazione in bottiglia, in cui entravano tutte le varietà bianche autoctone che davano comunque un buon raccolto. La selezione delle varietà era automatica: piante che davano uva sana e in quantità, perché il vino era alimento e reddito.
Glera in primis e poi Perera, Bianchetta, Verdiso, ed altre varietà minori erano la base di questo vino. La produzione era semplice e basata sull’imbottigliamento del vino in primavera, quando la fermentazione ripartiva autonomamente con i lieviti indigeni rendendo il vino frizzante. Un prodotto ben diverso dunque da quello che il mercato adesso identifica come Prosecco. Il francesismo di qualcuno l’ha etichettato come “sur lie” ma per me resterà sempre “col fondo”!
Uno dei produttori che crede in questo vino è Umberto Marchiori, che insieme al fratello Giuseppe e papà Giovanni hanno la “Vitivinicola Marchiori” a Farra di Soligo.
E’ giovane Umberto, ma di strada ne ha percorsa tanta, parte sopra i libri con tre lauree e studi che continuano, e parte sul campo con collaborazioni importanti ed esperienze all’estero che lo hanno portato fino in Sudamerica.
Con lui e Giuseppe ci siamo trovati pochi giorni fa e ho avuto il piacere di degustare i loro Prosecchi col fondo e soprattutto ascoltare la loro idea e visione del vino.
Tutto nasce da una bottiglia di Prosecco col fondo del 1992 che il papà Giovanni aveva “nascosto” nella “busa”, la cantina più profonda e buia. E’ stata aperta nel 2008 e per Umberto e Giuseppe si è rivelata una folgorazione. Amore a primo assaggio, tanto che fu deciso di investire sui vigneti e partire con questo progetto.
“Ciò che ci guida – dice Umberto – sono le sensazioni che il territorio ci comunica”; quindi la terra e il suo respiro, le viti, il sole e il tempo – inteso come dare tempo alle cose – ma anche come tempo che ci guida con le fasi della luna, il clima mutevole, le annate che cambiano.
Ed ogni attore ha il suo peso, cambia da vigneto a vigneto e risponde in maniera diversa.
Qui parliamo di poco più di 16 piccoli appezzamenti di vigneti, per un totale di 12 ettari seminati sulle rive collinari dietro il paese di Farra di Soligo, con viti molto vecchie, (le quarantenni sono molto diffuse) che Giuseppe e Umberto decidono di gestire uno per uno, studiandoli e caratterizzandoli, per carpirne i segreti.
“Tutto a mano” mi dice Giuseppe che segue personalmente i vigneti, per assecondare quello che le viti possono fare e dare, senza forzature, senza aggiunte; si parla di quasi 700 ore/anno lavorate su vigneto, tanto da rientrare nella viticoltura eroica. In cantina poi troverete i quadri di Umberto: fette di terreno di un metro di profondità prese dai suoi vigneti e incorniciate sottovetro, per capire le differenze e ritrovarle nei vini.
A settembre si vendemmia a mano e su cassette, poi a casa si fa selezione dei grappoli, e si diraspa. Niente pigiatura, si passa direttamente alla fermentazione, ogni vigneto separato dall’altro. E qui viene il bello: il mosto resta sulle bucce per un minimo di 5-6 ore fino a tre giorni, a seconda delle caratteristiche dell’uva. Si aspetta che salga il cappello e si travasa.
Ogni vigneto ha il suo fermentino, poi a metà novembre ci si siede intorno ad un tavolo e si assaggia il prodotto di ogni vigneto, scegliendo in una atmosfera da “alchimista del gusto e dell’olfatto” come comporre la cuvèe per la produzione dell’anno del Prosecco brut e extradry della linea “Profeeling”, Prosecco + feeling, con il profilo delle colline sulle etichette in un disegno dai toni futuristi.
La versione col fondo invece viene prodotta da Umberto da due vigneti specifici, destinati a portare avanti questo progetto: uno si trova a “Rive Alte” e uno è sulle pendici di una valletta e chiamato “Zulle”.
Umberto mi racconta delle diversità di terreno, di esposizione e di microclima che regalano alle uve corredi diversi, di come lui cerchi di preservare il più possibile queste diversità e della sua convinzione che si possa arrivare ad avere un Prosecco col fondo capace di essere longevo.
Ecco nascere il “Fondamentale.RA” dove RA sta per Rive Alte e il “Fondamentale.Z” che sta per Zulle.
Ho potuto degustare le annate 2010 e 2011 di entrambi e il 2012 di RA in bottiglia da 60 giorni. Le differenze ci sono, eccome, e sono ben marcate!! Se poi Umberto, non pago degli esperimenti, mi svela che una parte del prodotto del 2011 ha fatto un periodo che va da metà a fine fermentazione su caratelli di acacia allora lo stupore cresce per il risultato che ho potuto degustare.
L’RA 2012 si presenta con note di fiori bianchi e frutta acerba, dove prevale la mela; fresco e minerale con una ricchezza di aromi sorprendente.
Il 2011 è già più evoluto con delle note di mandorla, di pera e mela più matura, cresce in struttura ma mantiene una freschezza e una sapidità importanti.
Il 2010 del vigneto “Rive Alte” sorprende per la struttura ben presente anche dopo più di due anni, la freschezza c’è ancora tutta e le note si sono evolute con richiami di pompelmo rosa; al palato si presenta ben strutturato ed equilibrato con un bel finale.
Ma è il “Zulle” che più mi ha impressionato per la tenuta nel tempo e per le prospettive che lascia intravvedere. Un corpo di spessore, con un corredo di mineralità dato dalle “crode” su cui le viti sono arrampicate, una freschezza che nel 2010 farebbe invidia a prodotti ben più giovani, e un’evoluzione olfattiva e gustativa verso la pesca e la frutta matura che mi hanno sorpreso.
Per entrambi niente solfiti, niente aggiunte o zuccheri in fase di lavorazione, per due vini di grande bevibilità e leggerezza.
E’ stato come tornare bambino nel mio territorio, e si sa, l’emozione di tornare indietro è sempre grande. Se questo è il risultato ben venga il “Fondamentale” a darmi ricordi e la mia speranza è che molti produttori oltre a Umberto e Giuseppe Marchiori si convincano che vale la pena riscoprire la storia vitivinicola del nostro paese e produrre vini legati ad essa.